NICOLA BARONI
Cronaca

Il padre gesuita re dell’elettronica

Il sacerdote compositore, dall'ateismo alla Compagnia di Gesù: "Nessuna musica di 'sottofondo', l'ascolto è una cosa troppo seria"

Padre Antonio Pileggi (NewPress)

Milano, 1 novembre 2017 - «La musica  techno da discoteca non mi appassiona, ma mi capita di sentirla in alcuni negozi: da lontano sembra avere solo i bassi, poi magari avvicinandomi sento una voce, poi altri frammenti musicali di sinettizzatori, mi avvicino ancora e scopro che c’è una percussione instabile che crea un certo elemento di interesse per l’orecchio, quindi alla fine, pur non essendo un genere che mi affascina, a volte scopro delle piccole bellezze anche nella techno». Padre Antonio Pileggi, gesuita, fondatore e responsabile del settore musicale del Centro San Fedele, per colpa della musica fa fatica anche a far la spesa al supermercato: «Sono molto sensibile all’ascolto, non esiste per me la musica di sottofondo: quando c’è, l’80% della mia attenzione se ne va lì». Compositore, ha studiato nei Conservatori di Lione e Parigi tra il 1988 e il 1992, ed è considerato un’istituzione nell’ambiente della musica elettronica per il festival Inner_Spaces che da quattro anni organizza al Centro San Fedele.

Quando si è avvicinato alla musica elettronica?

«Avevo fatto dei corsi negli anni ’80, quando nascevano i primi programmi informatici che permettevano la trasformazione del suono live. Prima alcuni facevano musica mista, per esempio flauto con elettronica, ma era sempre l’interprete che interagiva con la musica elettronica, poi dagli anni ’80 è stata la musica elettronica a cominciare a seguire l’interprete».

L’avvicinamento definitivo quindi è avvenuto a Milano.

«Quando arrivai al San Fedele, nel 2009, mi chiesero di fondare la sezione musica. All’inizio facevamo solo musica strumentale, poi conobbi Giovanni Cospito, docente di musica informatica al Conservatorio di Milano, e lui mi convinse che questo genere poteva avere grande profondità».

Cosa la affascina della musica elettronica?

«La dimensione meditativa e il tempo della coscienza che riesce a creare. I musicisti fanno live set generalmente di 45-50 minuti: veri e propri affreschi sinfonici che si ascoltano senza interruzione e a luci soffuse. Mentre a un concerto dopo 25 minuti si è stanchi, a un’esperienza di musica elettronica si perde il controllo del tempo e si entra nel tempo della coscienza».

Si immagina una messa accompagnata da musica elettronica?

«No, la musica per la liturgia deve essere a servizio di questa e non viceversa. Non è una questione di musica elettronica ma di musica d’autore, pure la Missa Solemnis di Beethoven mi sembra più adatta a un concerto che a una celebrazione».

È entrato nella Compagnia di Gesù solo nel 1998, che ruolo ha avuto la musica?

«Avevo 32 anni quando entrai in noviziato. Prima non ero credente ed ero affascinato dall’illuminismo, la musica e la letteratura hanno tenuto aperto uno spiraglio sull’umano, che mi ha portato all’incontro con Cristo, avvenuto però tramite la parola di Dio nel Vangelo e alcuni incontri».

Cosa ascolta nel privato?

«Nulla, ascolto musica solo nei concerti. L’ascolto è una cosa troppo seria, che richiede un’attenzione totale. L’ascolto attento è difficilissimo e l’udito il senso più difficile da educare».

Il vostro pubblico ne è consapevole?

«Al San Fedele non proponiamo una fruizione ma un’esperienza. Anche il pubblico si può educare».