
Fatima
Milano, 3 maggio 2023 – Un silenzio assordante. «Ci sono milioni di organizzazioni e di attivisti per la tutela dei diritti umani che sostengono di combattere per i diritti e per l’equità tra le persone in tutto il mondo, ma nessuno oggi parla del mio Afghanistan – è l’atto d’accusa di Fatima Haidari, 24 anni, all’apertura del Festival dei Diritti Umani, al Memoriale della Shoah – sono un po’ scioccata».
Un Paese trasformato in inferno
Haidari ricorda che, da quando nel 2021 i talebani sono tornati al potere in Afghanistan, le donne hanno perso i diritti conquistati nei vent’anni precedenti. Libertà d’istruzione, di esporsi pubblicamente in contesti politici, culturali e la possibilità di lavorare: i talebani hanno passato un colpo di spugna su tutti i diritti delle donne. «Parlare delle battaglie femminili nel mio Paese è dura», ripete Haidari, che svela: «Alcune mie amiche afghane mi dicono “non vogliamo che nascano più bambine qui perché loro vita è così complicata... non è un Paese per loro, è un inferno. Le donne non possono lavorare e se rimangono senza marito, a causa della guerra o di un’espulsione dal Paese, sono costrette a vendere i loro figli al bazar». E Haidari chiede, rivolta alla platea: «Quale crisi può essere più grande di questa?». Dove è finita l’umanità, quando una madre deve vendere un figlio per salvare gli altri?
Risvegliare le menti
Lei, Fatima, non si considera una rappresentante delle donne afghane. Piuttosto, un’eccezione. «Io ormai vivo in Italia, ho un’educazione». Davanti alla scolaresca dell’Istituto Alberghiero Carlo Porta, in platea, e centinaia di studenti di altre scuole in streaming dalle loro aule, la 24enne scende nel concreto: «Là non sarebbe possibile un incontro come quello di oggi, perché le donne non possono sedersi liberamente accanto agli uomini...in Afghanistan le donne sono discriminate. Io sono qui per provare a creare consapevolezza e spero che tutti gli altri abbiamo lo stesso scopo soprattutto chi ha un ruolo nelle organizzazioni per i diritti umani e in quelle internazionali». Nella speranza di risvegliare le coscienze.
Restituite i diritti alle donne, ora
Rights now (diritti ora) è la scritta che fa da sfondo al Festival dei Diritti Umani di Milano e sembra abbracciare la figura della studentessa afghana che si muove sul palco. «Diritti, ora». Quelli che chiedono le donne afghane, ma anche quelle ucraine e iraniane, altrettanto calpestati. Dare il microfono a chi nella sua terra non ha il permesso di dare voce alle proprie istanze, questo l’obiettivo della rassegna di incontri, film e foto organizzata dalla Fondazione dei Diritti Umani ETS fino a domenica. Nella speranza che qualcuno, in questi angoli del mondo martoriati da guerre e discriminazioni di genere, ascolti l’appello finale di Haidari, al governo talebano e non solo. «Serve un cambiamento: se si vuole un grande governo bisogna pensare alle donne e vanno loro riconosciuti i diritti umani». E alle donne discriminate riconosce il grande coraggio e le esorta: «Voi siete potenti, ogni rivoluzione delle donne è potente perché voi siete coloro che danno la vita, voi avete questo potere, voi che date la vita anche agli uomini quindi non sottostimatevi, mai. Amatelo e apprezzatelo». Come c’è chi rispetta il monito contro l’indifferenza che si legge all’ingresso del Memoriale e chi, purtroppo, ancora oggi decide di ignorarlo.