Dall’infermiera corrotta alla madre complice: droga a San Vittore, in manette due detenuti

Blitz del Nucleo investigativo della penitenziaria: quattro arresti e un obbligo di dimora. All’operatrice sanitaria 500 euro a consegna

Polizia penitenziaria

Polizia penitenziaria

Milano, 11 novembre 2020 -  Una volta , l’infermiera al soldo dei detenuti-pusher ha portato nel carcere persino un i-Phone, ma poco dopo se l’è dovuto riprendere perché era troppo voluminoso e difficile da nascondere in una cella. La coppia di reclusi di San Vittore aveva trovato un modo ingegnoso per far entrare droga e mini-cellulari senza destare sospetti: pagare un’operatrice sanitaria che prestava servizio nella casa circondariale, da un minimo di 300 a un massimo di 500 euro a consegna. Nonostante le precauzioni e la figura da insospettabile, la donna è stata bloccata in flagrante poco meno di un mese fa dalle guardie di piazza Filangieri.

Le indagini sono andate avanti per ricostruire l’intera rete, affidate al Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria. Gli uomini del commissario capo Mario Piramide, coordinati dal pm Paolo Storari, sono riusciti a risalire a un fratello di uno dei due detenuti e a un suo conoscente, che, secondo le accuse, si procuravano hashish e cocaina da consegnare all’infermiera. Ieri è scattato il blitz, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Manuela Accurso Tagano: in carcere, dove già erano, i detenuti L.G. e D.C., entrambi con precedenti specifici per spaccio (e uno anche per rapina); ai domiciliari i due complici, mentre alla madre di uno dei reclusi è stato affibbiato l’obbligo di dimora. L’inchiesta-lampo è scattata a settembre, su segnalazione degli agenti di San Vittore.

La prima a finire in manette è stata l’operatrice sanitaria, che faceva da corriere dello stupefacente: in un’occasione, avrebbe trasportato 100 grammi di droga, in un’altra 30; sono quattro in totale le consegne che le vengono contestate, per un corrispettivo complessivo di circa 1.110 euro. La vicenda è venuta a galla grazie alla dritta di una fonte confidenziale, che ha raccontato della presenza di due telefoni cellulari all’interno di uno dei reparti, di cui uno, "grazie alle ridottissime dimensioni", sarebbe stato nascosto nelle parti intime da uno dei carcerati, che, come si legge nel provvedimento del giudice Accurso Tegano, "lo avrebbe utilizzato nelle ore pomeridiane e notturne, insieme al suo compagno di cella", per organizzare e gestire il traffico di stupefacenti.

Funzionava così: G. e C. chiamavano i complici all’esterno e ordinavano lo stupefacente, che poi veniva materialmente introdotto a San Vittore dall’infermiera-corriere. La droga veniva in parte consumata dagli stessi detenuti in parte rivenduta agli altri carcerati a prezzi decisamente maggiorati, vista la (quasi) impossibilità di reperirla dietro le sbarre. Le intercettazioni riportate nell’ordinanza confermano che Loris Granillo riusciva a utilizzare un cellulare in carcere: nel corso delle telefonate, detenuti e fornitori parlavano di droga, scrive il gip, facendo riferimento a "profumi" o indicando solo "il peso" in millilitri con frasi tipo "Quindi un 100 ml lo riusciamo a procurare?". Ovviamente , il ruolo-chiave era ricoperto dall’infermiera di 28 anni, che, la sottolineatura del gip, ha "vanificato la funzione" che doveva svolgere: era "addetta alla cura dei detenuti tossicodipendenti, da lei facilitati nel continuare a fare uso di droga".  

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