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Dopo Expo, Ambrosoli: «Serve un tavolo comune. La vera eredità dell’evento sarà la forte carica di valori»

Ambrosoli, leader del centrosinistra in Regione: "Un altro ideale secoli fa portò il nome di Milano in tutto il mondo: il no alla pena di morte pensato da Cesare Beccaria. Spero che la Carta di Milano abbia lo stesso destino del libello 'Dei delitti e delle pene' che rivoluzionò il diritto" di Giambattista Anastasio

Umberto Ambrosoli

ANCHE Umberto Ambrosoli, leader del centrosinistra in Regione Lombardia, aderisce alla proposta del direttore de “Il Giorno”, Giancarlo Mazzuca, di creare un pensatoio sul dopo Expo, riunendo tutte le migliori teste della metropoli per programmare il futuro. Dopo il senatore ed ex sindaco Gabriele Albertini, il primo presidente della Regione Piero Bassetti, il sociologo Stefano Rolando, l’assessore regionale Fabrizio Sala e il rettore del Politecnico Giovanni Azzone, anche Ambrosoli sposa la tesi del direttore Mazzuca. «Bene fa Il Giorno a lanciare la proposta di un pensatoio che faccia dialogare e metta in relazione istituzioni, università e società civile per cogliere in pieno le opportunità di Expo», dice il capogruppo del centrosinistra in Regione. Poi, l’auspicio: «Ma non bisogna perdere tempo. Siamo straordinariamente ricchi di risorse, energie e contenuti valoriali, usiamoli». Il think-tank, d’altronde, ha come obiettivo dichiarato quello di far restare Milano protagonista anche dopo i sei mesi trascorsi sulla ribalta internazionale grazie al successo di Expo 2015.

UNA META da raggiungere con una serie di iniziative che scaturiscono dal dialogo allo stesso tavolo fra le migliori anime della metropoli e dell’intera regione. Per mantenere sempre alta la forza attrattiva, non solo economica ma anche culturale della città, facendo in modo che le mille anime ed eccellenze della città abbiano una regia comune, e le tante energie positive possano essere incanalate in un percorso comune, coinvolgendo in un cammino di sviluppo le imprese e le università.

Milano, 26 settembre 2015 - «Bene fa Il Giorno a lanciare la proposta di un “pensatoio’’ che faccia dialogare e mettere in relazione istituzioni, università e società civile e quindi cogliere in pieno le opportunità di Expo. Ma bisogna non perdere tempo! Siamo straordinariamente ricchi di risorse, energie e contenuti valoriali. Usiamoli». Umberto Ambrosoli, leader del centrosinistra in Regione, spinge sull’acceleratore del futuro e chiede alle istituzioni, Comune, Regione e Governo, una «regìa unica» e, a tutti noi, «azioni concrete, buone pratiche, buoni comportamenti che possono essere declinati attraverso la “Carta di Milano” già dal primo di novembre. La città deve sviluppare e non disperdere l’eredità di Expo. Ci sono le condizioni per farcela».

In cosa consiste questa eredità?  «L’eredità - la legacy -, condizione essenziale raccomandata dagli organizzatori, non è uguale per tutte le Expo. C’è infatti un’eredità materiale e una immateriale, ideale. Il fascino della nostra ExpoMilano 2015 sta certo nelle tecnologie diverse e innovative utilizzate nella realizzazione dei padiglioni, così come nel confronto di innovazioni, culture e creatività, tecniche agricole e produttive, che possano offrire risposte concrete ad un bisogno vitale, “essere in grado di garantire un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti, nel rispetto del Pianeta e del suo equilibrio’’ come dice la Carta di Milano. Ma questo è un tema altamente valoriale».

E l’eredità materiale? «Riguarda l’enorme area che sarà liberata e sulla quale si sta sviluppando il progetto di una cittadella universitaria che ha un valore strategico per Milano, soprattutto nella sua dimensione metropolitana».

Ma dal primo di novembre non c’è il rischio che calato il sipario su Expo anche Milano si fermi? «Sicuramente l’impatto sarà forte, come negarlo? Un’area che siamo abituati da sei mesi a vedere viva e vitale, densa di avvenimenti di portata internazionale, diventa un cantiere (dis)abitato da chi deve, per contratto, smantellare i padiglioni. L’altro grande impatto riguarda i servizi che la città ha fortemente implementato in questi sei mesi. Penso solo alla frequenza dei treni in metropolitana che non avranno più ragione di essere implementati. Non potrà non esserci un calo, una delusione. Ma, credo, sarà momentanea. Perché il lascito forte, ripeto, è “valoriale” e noi su quello dobbiamo continuare a costruire. Torna quindi il contenuto sostanziale della Carta di Milano che dovrà essere declinato, ogni giorno, da tutti i cittadini e da tutte le istituzioni milanesi. Questa è la sfida che da un certo punto di vista trovo più affascinante. Un tema che è a portata delle nostre possibilità, misurabile con condotte individuali e collettive. Una parte che bisognerà tenere viva nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nei palazzi pubblici, alimentata da progetti sulle energie rinnovabili, contro lo spreco alimentare e via dicendo. Quindi la “governance’’ del post Expo va alle istituzioni e il resto tocca a noi cittadini».

Quale ruolo possono e devono avere le università? «Decisivo. Di cerniera fra il mondo istituzionale e la realtà civile. Università del calibro di quelle milanesi possono dare un contributo decisivo. Bisogna incoraggiare il dialogo, la rete fra le istituzioni. Ma con Expo abbiamo un pochino imparato a farlo. Le università in questi anni sono molto meno delle “isole’’ rispetto al passato».

Il prossimo passo? «Avviare i progetti di riconversione dell’area e mettere tutti attorno a un tavolo. Abbiamo tutte le carte in regola per sconfessare quei gufi che come gli altri, pensavano che Expo sarebbe stato un fallimento e ora pensano che il post Expo sarà un fallimento. Non lo sarà».

Non sarà facile veicolare la Carta di Milano, gli ideali e i valori... «Pensando a una leadership culturale più che ideologica, mi piace pensare a un altro ideale che qualche secolo fa - in tempi duri, rapaci e di predominio e sfruttamento dell’uomo sull’uomo - portò il nome di Milano in tutto il mondo: l’ideale di Cesare Beccaria per l’abolizione della pena di morte. Nessuno ci credeva e invece quel libello che pacatamente disquisiva “Dei delitti e delle pene” iniziava una fase di civilizzazione nel mondo che ha rivoluzionato la concezione del Diritto e della convivenza tra gli uomini. Auguro alla Carta di Milano lo stesso destino e la stessa capacità di operare a lungo e altrettanto proficuamente nella coscienza dell’umanità». stefania.consenti@ilgiorno.net