Un secolo di Don Giussani: "Nell'azzurro dei suoi occhi lo sguardo di un rivoluzionario"

Comunione e liberazione dal Papa per i cent’anni del fondatore, il vicepresidente Pozzoli: "L’eredità? La capacità di confrontarsi con tutti senza perdere la propria identità"

Don Giussani nel ’56 con alcuni studenti

Don Giussani nel ’56 con alcuni studenti

Cent’anni fa, il 15 ottobre 1922, nasceva a Desio don Luigi Giussani, teologo e docente italiano, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione. Per l’occasione, dopo sette anni dall’ultima udienza, Papa Francesco incontrerà il popolo di Cl. Sono attese oltre 50mila persone da più di 60 Paesi del mondo. «Sarà un passaggio fondamentale del cammino che stiamo compiendo - ha scritto in un messaggio il presidente della Fraternità di Cl Davide Prosperi, ricordando l’insegnamento di don Giussani -. In un momento così delicato per il movimento, con il pellegrinaggio alla casa di Pietro vogliamo affermare la nostra affezionata sequela al Papa e in essa il nostro appassionato amore a Cristo e alla Chiesa». In piazza San Pietro le testimonianze di Rose Busingye, fondatrice dell’opera di carità Meeting Point International di Kampala, e di Hassina Houari, ex studentessa del centro Portofranco di Milano.

Milano - «Un vero rivoluzionario, che aveva il senso del tempo e della società". Così Cesare Pozzoli, vicepresidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ricorda don Luigi Giussani. Lo incontrò tra i banchi dell’università Cattolica, alla fine degli anni Ottanta. "Per due anni, da studente di Giurisprudenza, ho frequentato il suo corso ’Il senso religioso’: era vivacissimo, prendeva tutto sul serio", racconta Pozzoli, avvocato del lavoro.

Pozzoli, che maestro è stato don Giussani per lei?

"Guardava sempre negli occhi, con quegli occhi azzurri penetranti e un po’ malinconici, e ti dava l’impressione e la certezza che eri unico. Ogni incontro e dialogo con lui è stato decisivo per la mia vita, anche quando mi sono fidanzato con la mia attuale moglie. Don Giussani era assetato di vita, non stava mai tranquillo. E invitava tutti a non esserlo: è nell’inquietudine d’animo che si incontra Cristo".

Qual è la sua eredità, in tempi per nulla tranquilli?

"La sorpresa per l’avvenimento di Cristo, presente nella storia. E quindi la nascita di un’umanità nuova fino alla costruzione di opere che siano l’eco di questo annuncio. In questo momento difficile c’è bisogno di una proposta, di speranza. E di un confronto con tutti, che è quello che ha sempre testimoniato. Don Giussani incontrava anche chi era su posizioni filosofiche diverse e ‘opposte’. Quando uno ama il vero e l’umano incontra tutti, rimanendo sé stesso e non facendo una marmellata".

Come con Pasolini.

"Con lui c’era un accento di commozione e di sintonia legato al tema del potere: Pasolini si era accorto che c’era un modo di dirsi rivoluzionari ancora più conformista nel post ’68. Il potere era diventato omologazione, era pervasivo. Un’intuizione profetica. Don Giussani leggeva i suoi scritti e si infuocava, lo citava spesso, anche quando era ancora considerato uno scrittore quasi blasfemo dalla Chiesa".

E don Giussani fu un rivoluzionario o un riformista?

"Essendo un uomo innamorato di Cristo, è stato un rivoluzionario ma sapeva, da educatore, che qualunque rivoluzione esige un tempo. Ha ‘riformato‘ e cambiato tante cose".

Qualche esempio?

"Quando lui ha iniziato nella Diocesi di Milano c’erano ancora gli oratori maschili e femminili. Lui ha scommesso nella proposta educativa di Gioventù Studentesca: se stanno a scuola insieme perché ancora questi steccati? Il punto è avere un ideale comune così potente per cui possano stare insieme, rispettandosi, volendosi bene. Una scommessa vertiginosa, radicale, che ha funzionato. Quante famiglie nate, esperienze di affido e adozioni. Aveva una carriera brillante come professore a Venegono quando lasciò tutto, si era accorto che tra i giovani negli anni Cinquanta era necessario riannunciare l’esperienza cristiana. E andò a insegnare al liceo Berchet, abbandonando la sua ’comfort zone’ per ricordare che Dio si è fatto uomo nelle scuole, nella società, nelle imprese, fino alla politica".

E oggi? Come vede l’impegno dei cattolici in politica? Avrebbe senso un partito cattolico?

"Non ci sono le condizioni. Il papa e la Cei hanno invitato i cattolici a non stare sugli spalti, a impegnarsi secondo ’responsabilità personale’, non come movimenti o associazioni affiliati a partiti. Noi abbiamo preso sul serio l’invito. E ricordato i punti da mettere al centro: la persona e le associazioni all’interno delle quali si esprime, la parità scolastica, il lavoro, la difesa della famiglia, la pace. Perché questa guerra, come dice Papa Francesco, è una follia".

State per incontrare il Papa.

"Un grande dono, ha liberato l’agenda il giorno del compleanno del Don Gius. In piazza San Pietro saremo in 50mila, da 60 Paesi. È un pellegrinaggio. Non avveniva da oltre sette anni. Il Papa è un punto di luce. Nel 2015 ci disse ’Siate mani e piedi di Cristo, in uscita nel mondo’. Chiediamo la sua benedizione e indicazioni sulle strade da percorrere in tempi difficili".

Come sta oggi Comunione e Liberazione?

"CL c’è, l’entusiasmo e il fuoco che ci è stato donato restano, come la gratitudine che nel tempo cresce, insieme alla consapevolezza dei nostri limiti. Certo è un momento di rinnovamento anche nel Movimento. Un cambiamento, anche generazionale, che ci è chiesto esplicitamente dal Papa e dal Dicastero per i laici. Occorre cambiare per essere fedeli a noi stessi: ecco la sfida che sottomettiamo al Papa e alla benedizione di don Giussani. Che in 60 anni di vita pubblica ha saputo cambiare, non era un monolite, ha portato novità in ogni stagione".

 

 

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