Dal covo Br di via Maderno la svolta sul vecchio delitto

Dopo quasi 50 anni, le impronte digitali accusano l’ex terrorista Lauro Azzolini

Via Maderno, tutto riparte da lì quasi mezzo secolo dopo. Dal covo delle Brigate rosse in città, tra via Meda e viale Tibaldi, dove nel gennaio del ’76 vengono arrestati il fondatore delle Br Renato Curcio e la sua nuova compagna Nadia Mantovani. E’ lì che i carabinieri trovano sei fogli battuti a macchina e con i disegni fatti a mano che ricostruiscono con grande precisione quanto avvenuto un anno prima nell’Alessandrino, quando l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia sequestrato dai brigatisti era stato liberato dopo un conflitto a fuoco nel corso del quale erano rimasti uccisi la moglie di Curcio, Mara Cagol, e l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso. Chi aveva riempito quell’accurata relazione doveva essere per forza il terrorista sfuggito alla cattura e che all’epoca, nonostante i processi, rimase senza nome.

Un paio d’anni fa, però, dopo l’esposto di Bruno e Cinzia D’Alfonso, i figli della vittima in divisa del ’75, la procura di Torino riapre le indagini. Viene indagato Curcio (che oggi ha 81 e si difende dicendo di non sapere come andarono esattamente le cose) ma poi i Ris di Parma grazie ai nuovi strumenti tecnico scientifici riescono a ricavare dai famosi sei fogli di via Maderno le impronte digitali dell’ex br Lauro Azzolini. E’ lui il terrorista sfuggito alla catura quel giorno? Sulla base della nuova prova, la procura di Torino chiede la revoca della sentenza che all’epoca prosciolse Azzolini. E ieri gip torinese Anna Mascolo accoglie la richiesta di revoca di quel provvedimento dell’87 con cui Azzolini era stato dichiarato estraneo alla sparatoria in cui altri due militari dell’Arma rimasero feriti. Anche se il fascicolo con quella sentenza fisicamente non si trova più, perché distrutto in archivio dall’alluvione del ’94 in Piemonte. Nei confronti di Azzolini, 79 anni, ai tempi capo della colonna milanese delle Br, le indagini possono dunque ripartire.

"Se io raccontassi, e dovrò farlo, a qualcuno che abita all’estero che in Italia un giudice può revocare una sentenza ormai irrevocabile di assoluzione di cinquant’anni fa senza neppur poterla leggere, probabilmente mi darebbero del matto. Comunque nulla da temere da queste indagini". Così l’avvocato di Azzolini, Davide Steccanella.

"Ma quella nel fascicolo distrutto dall’alluvione non era una sentenza dibattimentale", replica l’avvocato di Cinzia D’Alfonso, Nicola Brigida. "Al sensazionalismo della difesa, il gip ha contrapposto l’applicazione ragionata delle norme di diritto. Quel proscioglimento era in ogni caso revocabile di fronte a una nuova prova e alla possibilità che questa sia idonea allo sviluppo di un quadro investigativo". Dopo quasi 50 anni, la verità sull’omicidio dell’appuntato D’Alfonso forse è più vicina.

Mario Consani