
Milano – L’apertura ritardata dalla pandemia. Le rivolte e i tentativi di fuga. I cambi di gestione e la riduzione forzata dei posti generata dalle norme anti Covid e dai lavori di restyling dei settori periodicamente danneggiati dagli ospiti. Tre anni di Cpr in via Corelli. Nei giorni scorsi, il Governo ha annunciato il piano che prevede l’ampliamento della rete di centri di permanenza per il rimpatrio, con l’obiettivo di realizzarne almeno uno in ogni Regione. Quello di Milano è uno dei 9 già attivi in Italia, in un elenco che include pure quelli di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Palazzo San Gervasio, Roma e Trapani.
Attualmente, il centro ospita 44 persone su una capienza massima di 48, con presenze complessive in salita del 73% tra 2022 e 2023 e rimpatri aumentati del 62% rispetto all’anno scorso. Tuttavia, se vogliamo scattare una fotografia quanto più fedele dell’esistente, a questo punto dobbiamo fare un passo indietro.
Al 28 settembre 2020: quel giorno, la struttura demaniale in zona Ortica si trasforma ufficialmente in un luogo di trattenimento per gli stranieri da espellere, dopo lo smantellamento nel 2014 del vecchio Cie e la riconversione in centro d’accoglienza straordinario nella fase più calda dell’emergenza profughi. La gestione viene affidata con bando della Prefettura al ticket di cooperative formato da Versoprobo e Luna: 3,9 milioni di euro la cifra di aggiudicazione dei 140 posti per un anno di gestione (con possibilità di rinnovo per altri dodici mesi).
I problemi non tardano ad arrivare, specie nei giorni in cui sono in calendario le partenze dei voli da Malpensa per riportare i migranti nei rispettivi Paesi di origine. Due settimane dopo l’inaugurazione, ecco la prima rivolta: estintori svuotati, vetri rotti, lavandini spaccati, due ragazzi in fuga subito ripresi dalle forze dell’ordine e quattro feriti lievi.
Neanche il tempo di fare la conta dei danni che la protesta riesplode il 18 ottobre: stavolta è il mozzicone di una sigaretta a bruciare un materasso e a rendere necessaria un’evacuazione-lampo. Un mese dopo, il 20 novembre, la deflagrazione di alcuni petardi, verosimilmente lanciati dall’esterno, innesca di nuovo il caos: in tre si arrampicano sui cancelli dei cortili esterni, riuscendo a raggiungere il tetto e a sfondare la barriera anti-scavalcamento in plexiglas; nel frattempo, altri ospiti oscurano le telecamere di videosorveglianza per non essere filmati mentre devastano gli unici due settori (A e B) rimasti agibili. Il conto è salato: 178mila euro di spesa complessiva, di cui 76mila per riparare i danni provocati dagli ospiti.
Nel settembre 2021, la gestione passa a Engel Italia: la capienza viene ridotta da 140 a 84 posti per le regole sul distanziamento anti contagi. Il 14 marzo 2022, però, la srl salernitana cede il ramo d’azienda alla società Martinina, che ancora oggi si occupa del centro dopo aver vinto nell’ottobre scorso l’ultimo bando annuale da un milione di euro per 72 posti (24 posti per ognuno dei tre settori disponibili).
Sì, perché nel frattempo il numero si è ulteriormente ridotto per consentire agli operai di rimettere a nuovi gli spazi resi inutilizzabili da incendi e vandalismi e di portare a termine altri lavori per rendere più sicuro il centro. In questo momento, la capienza massima è fissata a 48 posti, sempre per motivi legati ai cantieri in corso, con 44 ospiti all’interno del Cpr. Di questi, 16 sono marocchini, 7 tunisini, 4 gambiani, 4 egiziani e 2 pakistani; gli altri 9 sono equamente distribuiti tra Algeria, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ecuador, Ghana, Malesia, Nigeria, Senegal, Siria e Sri Lanka.
Secondo i dati aggiornati al 21 settembre, nel 2023 sono passate in via Corelli 380 persone, 103 in più rispetto alle 277 dello stesso periodo del 2022. Di queste, 153 sono state rimpatriate in quasi 9 mesi (con una media di 17 al mese), rispetto alle 94 dell’anno scorso. Per quanto riguarda i tempi di trattenimento all’interno della struttura, gli ospiti di origine tunisina, egiziana e gambiana sono rimasti in media per un mese, con dati in linea con quelli del 2022 (se non per i gambiani, che l’anno scorso sono rimasti in media per 40 giorni). Permanenza più breve per i marocchini (20 giorni), decisamente più lunga per gli algerini (60 giorni).
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