Coronavirus: "Malato e trattato in malo modo, un incubo"

La brutta esperienza di un 54enne ricoverato in Rianimazione, ma alle prese anche con la scarsa umanità di due operatori sanitari

Emergenza Coronavirus

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Milano, 12 maggio 2020 - I racconti sugli infermieri “angeli delle corsie“ e la loro grande umanità ci hanno aperto il cuore. Ma in questa tragedia senza regole, con i pronto soccorso strapieni, le terapie intensive intasate e le bare dappertutto, a qualcuno meno fortunato è successo, al contrario, di incrociare qualche operatore sanitario meno paziente o professionale degli altri.  Comprensibile, nell’ottica dei grandi numeri. Ma quando Eva B. racconta del marito, che è stato intubato una settimana e ora per fortuna sta meglio, l’amarezza per come è stato trattato si confonde con la paura vissuta. Originaria del Perù, la coppia vive in Italia da 17 anni e ha un figlio di sedici. "Lavoro come operatrice socio sanitaria in una residenza per anziani - racconta Eva - una di quelle dove a metà marzo ti dicevano di non mettere la mascherina perché gli ospiti potevano spaventarsi. Così uno su tre di loro è morto e la gran parte di noi si è ammalata. L’ho preso anch’io, il virus, per fortuna in forma lieve".

Al marito , 54 anni, è andata peggio. "Dopo tre giorni di febbre sempre più alta lo hanno trasportato all’ospedale San Paolo". I medici decidono di intubarlo, ma prima lui fa in tempo ad accorgersi di essersi procurato un taglio in testa, probabilmente durante il trasporto. "Ha chiesto all’infermiera dell’alcol per disinfettarsi - racconta la moglie - “Cosa vuoi alcol“, le ha risposto quella, tanto sei tutto infetto". Parole terribili, protesta Eva, "posso capire la stanchezza, la tensione, ma il nostro non è un lavoro come gli altri, io lo so bene. Una frase detta così a una persona che sta male può aprire una ferita profonda".

Intubato, sedato e privo di conoscenza per lo più, il marito però alternava momenti in cui se non poteva parlare era in grado però di sentire. "Come quando un infermiere, trasportando fuori dalla rianimazione dei pazienti deceduti, forse credendolo addormentato si è rivolto a lui con una specie di sentenza: “Tanto il prossimo sarai tu“", racconta con un groppo in gola la moglie, che per fortuna ha incrociato al San Paolo anche persone di grande umanità "come la pneumologa Barbara Boveri, che ci ha aiutato molto".

L’ultimo episodio sfortunato risale a pochi giorni fa, quando il marito, ormai trasferito in reparto, è rimasto per ore senza assistenza nonostante le sue richieste di aiuto, quando a causa di un improvviso rialzo febbrile (un’infezione batterica, si è scoperto poi) è arrivato fino a perdere i sensi prima che i medici rispondessero ai disperati solleciti della moglie. "Ho voluto raccontare le vicende capitate a mio marito perché può essere andata allo stesso modo anche a qualcun altro che non può più lamentarsi", si sfoga Eva. "E vorrei che chi fa l’infermiere o l’operatore si rendesse sempre conto che il nostro non è un mestiere qualunque, siamo a contatto con chi ha bisogno di aiuto, il senso di umanità deve sempre prevalere anche sullo stress o la stanchezza". mail: mario.consani@ilgiorno.net

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