
Cinema Imperiale, la sala da 600 posti al culmine della gloria
Milano, 29 aprile 2017 – Una sala di terza visione, manifesti coi film in programma appesi in zona. Tutte pellicole di carattere popolare per attirare il pubblico in un’età, dagli anni Venti ai Cinquanta, in cui nelle case non c’era la televisione. E in cui le sale cinematografiche spuntavano come funghi. Il Cinema Imperiale era una di queste: nel raggio di poche centinaia di metri si incontravano l’Ambrosiano, nella stessa via, il Colosseo in piazza Cinque Giornate, l’Esperia (diventato Cielo) in viale Premuda. Poi, messi nel cassetto «i nomi che ricordavano la retorica fascista», nel 1953 la sala si era rinnovata e aveva riaperto, ribattezzata Cinema XXII Marzo: 600 posti, con platea e galleria. Nel fermento degli anni Sessanta e Settanta, al piano superiore era stata pure aperta una sala da ballo. Nel 1975, salto di qualità: il locale viene promosso tra i proseguimenti prime visioni e inizia ad avere in cartellone pellicole migliori e più recenti. Ma all’inizio degli anni Ottanta la parabola discendente legata a un’emorragia di spettatori (prima per la televisione, poi per i vhs) non risparmia il XXII Marzo che a fatica riesce a totalizzare una media di 130-150 presenze giornaliere su quattro spettacoli.
Fine delle proiezioni. Apre un negozio di arredamento nella seconda metà degli anni Ottanta. Poi, buio. La storia viene raccontata da Giuseppe Rausa (in collaborazione con Marco Ferrari e Willy Salveghi) sul suo sito ad hoc. Nato a Monza, 59 anni, insegna pianoforte al Conservatorio “Nicolini” di Piacenza e l’83 e l’87 ha scritto per Il Giorno di cinema, una sua passione. HA MESSO PIEDE al XXII Marzo alla fine degli anni Settanta: «Ero andato a vedere “Il presagio” – racconta –, ricordo una sala spartana, per gente di poche pretese, in cui si andavano a vedere film di seconda e terza visione».
La storia successiva però è stata anomala: «Mentre le altre sale chiuse si sono trasformate in altro, basti pensare all’Ambrosiano diventato la discoteca Rolling stone, questa struttura è rimasta vuota. Dismesso. Uno dei pochi casi a Milano». E la riflessione si allarga a livello cittadino: «Il cinema a Milano ha avuto un crescendo e diminuendo, come in musica. Tra gli anni Trenta e Quaranta le sale saranno state una sessantina. Il grande exploit nel dopoguerra, con picco massimo di 200 sale. Poi c’è stata una discesa a scaloni, oggi abbiamo tra le 70 e 80 sale. Sparite quasi tutte quelle in pieno centro, che per questo veniva chiamato “Piccola Broadway”. Oltre all’Odeon, che ci ha visto lungo, trasformandosi in multisala, è sopravvissuto solo l’Arlecchino».