Chef Filippo La Mantia: "Non aspetto gli aiuti dello Stato, chiudo e ripartirò in piccolo"

Ha annunciato l’intenzione di spostare l’attività, rimanendo a Milano. "I coperti ci sono, mancano gli eventi per coprire i costi. Non dobbiamo arrenderci alla pandemia"

Chef Filippo La Mantia

Chef Filippo La Mantia

Milano, 27 agosto 2020 - «Mi sono trovato a trascorrere il lockdown in un bilocale a Milano: con i vostri piatti consegnati a casa siete stati un raggio di sole in un mondo minaccioso». Lo chef palermitano Filippo La Mantia legge uno dei tanti messaggi inviati dai clienti da quando ha annunciato la decisione di chiudere il suo ristorante milanese per riaprire in uno spazio di dimensioni più ridotte, sempre in città. Una scelta dettata dall’emergenza coronavirus che ha sconvolto anche il mondo della ristorazione. «Sono davanti a un bivio, o mi ridimensiono o fallisco», spiega La Mantia, che ogni mese deve sborsare 28mila euro di affitto per il locale in piazza Risorgimento. 

Un canone che non è più sostenibile? «Adesso stiamo lavorando con una cinquantina di coperti, i clienti ci sono ma il problema è che sono venuti a mancare gli introiti legati agli eventi, e questo rende davvero eccessivo uno spazio di 1.800 metri quadrati, con tutti i costi connessi. La nostra è una società giovane, che l’anno scorso aveva appena iniziato a fare utili. Poi è scoppiata la pandemia». 

Ha già trovato un possibile nuovo spazio? «Ho ricevuto alcune proposte, e le sto raccogliendo in una cartellina. La mia ricerca è appena iniziata, conto di fare un punto tra ottobre e novembre. Il primo febbraio del 2021 consegnerò le chiavi del locale in piazza Risorgimento, e almeno fino a gennaio il ristorante rimarrà aperto. Se entro quella data avrò trovato un nuovo spazio ci trasferiremo immediatamente, altrimenti aspetteremo qualche mese. Sono deciso a rimanere a Milano, solo in uno spazio ridotto e più sostenibile economicamente. Intanto abbiamo chiesto la risoluzione del contratto d’affitto con cinque anni di anticipo». 

Ci sono state reazioni da parte dei clienti? «Nell’arco di poche ore ho ricevuto una trentina di messaggi. Sono davvero commesso per queste espressioni di affetto e vicinanza, anche perché durante il lockdown abbiamo scelto di continuare a lavorare facendo consegne a domicilio, consigliando ricette per telefono. Per molti siamo stati un punto di riferimento». 

Come è cambiata la città di Milano? «Abito a Milano dal 2014, arrivavo da Roma, e ho vissuto il periodo di Expo e del post-Expo in una città straordinaria, moderna e accogliente. Adesso quando giro in moto vedo una città ancora vuota. Provo un senso di angoscia, ma è in qualche modo una angoscia “sana“ perché non siamo di fronte a una crisi economica ma a una pandemia, a qualcosa di impercettibile, che va affrontato senza arrendersi». 

Pensa che sia mancato il sostegno delle istituzioni al vostro settore? «Penso che in Italia ci sono 500 categorie che potrebbero aver bisogno di sostegno e noi siamo solo una delle tante. Non possiamo aspettare i sussidi dello Stato, che qualcuno ci venga a dare dei soldi, ma dobbiamo darci da fare per ripartire. Bisogna aiutare piuttosto i pensionati che fanno fatica a campare. Mia mamma prende meno di 700 euro al mese, senza il mio aiuto sarebbe in seria difficoltà». 

È preoccupato per il futuro? «Piuttosto sono consapevole che bisogna cambiare il nostro modo di vivere. Il lockdown era inevitabile perché siamo di fronte a una pandemia, e riaprire le discoteche ad agosto è stata una scelta sbagliata, rischia di mandare in fumo mesi di sacrifici». 

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