SIMONA BALLATORE E FABRIZIO LUCIDI
Cronaca

Giulia Cecchettin e l’odio online: si ferma l’Osservatorio contro l’intolleranza perché Elon Musk chiede 70 mila euro

Il proprietario di X (prima Twitter) informa che l’accesso ai dati per il monitoraggio dell’intolleranza è diventato a pagamento. Ogni anno si analizzavano 10 milioni di post al mese

Elon Musk, 52 anni. Patrimonio netto nel 2023: 241,2 miliardi dollari
Elon Musk, 52 anni. Patrimonio netto nel 2023: 241,2 miliardi dollari

“Il nostro osservatorio contro l’odio online è congelato da mesi: da quando Elon Musk ha comprato Twitter e lo ha trasformato in X, ci chiedono almeno 50mila euro per sbloccare l’accesso a dati ai quali prima avevamo accesso gratuitamente per scopi di ricerca": denuncia quanto sta succedendo e lancia un appello Marilisa D’Amico, prorettrice dell’università Statale di Milano, docente di Diritto costituzionale e co-fondatrice di Vox-l’Osservatorio Italiano sui Diritti.

"Per anni abbiamo mappato l’odio sui social – ricorda –. Dal 2015 ci siamo concentrati su Twitter: abbiamo costruito con la Statale di Milano, l’Università di Bari e La Sapienza di Roma un software per mappare tweet discriminatori. I post d’odio venivano geolocalizzati e si mostrava anche la correlazione con eventi di cronaca, con i picchi dell’intolleranza". Creando un report all’anno, una sorta di cartina al tornasole per studiare strategie per contrastare la macchina dell’odio, entrando anche nelle scuole.

Poi è arrivata la doccia fredda: "I colleghi di informatica ci hanno avvisati che quei dati non erano più utilizzabili: con il passaggio a “X“ si consente l’utilizzo per queste ricerche solo a pagamento. Le cifre sono altissime e per un’università proibitive", non nasconde la prorettrice della Statale.

Per la mappa dell’intolleranza venivano estratti 10 milioni di tweet al mese per poi lavorarli e setacciare quelli con un imprinting d’odio: oggi la società di Musk chiede cinquemila dollari al mese per un milione di tweet, "molto meno di quelli che eravamo abituati a estrarre: le nostre ricerche durano dai 10 mesi all’anno", ricorda Silvia Brena, giornalista, co-fondatrice di VoxDiritti e nel direttivo nazionale della “Rete contro l’odio“.

Facendo una proiezione servirebbero almeno 50-70mila euro e comunque si avrebbe meno materiale da analizzare, difficilmente comparabile agli studi degli anni scorsi, ostacolando un lavoro che ha permesso di accendere un faro su situazioni allarmanti.

"Le ricerche fin qui condotte ci hanno per esempio fatto vedere come le donne siano ancora al primo posto tra le vittime dell’odio – ricorda D’Amico –, abbiamo mostrato come la discriminazione sia passata dagli aspetti fisici, dal corpo, all’attacco alle donne in quando lavoratrici e che i picchi d’odio sono ancora più alti in concomitanza dei femminicidi. Siamo riusciti a dimostrare che quando le buoni leggi funzionano l’odio diminuisce: per esempio dal 2016, con la legge sulle Unioni civili, i tweet nei confronti delle persone Lgbt sono notevolmente scesi".

Non solo: "Abbiamo potuto capire, anno dopo anno, come stessero aumentando parallelamente sia antisemitismo che antislamismo, con una radicalizzazione dell’odio – aggiunge la prorettrice –. Questa mappa è servita a lavorare con le scuole, con attività che ingaggiassero i giovani: diventavano loro stessi messaggeri della mappa dell’intolleranza, attivando progetti peer-to-peer, per parlare di violenza contro le donne non da una cattedra ma con i loro strumenti. Non possiamo permetterci di perdere questo osservatorio".

“Come Vox Diritti e direttivo nazionale della Rete contro l’odio crediamo che questa sia un’azione preoccupante e pericolosa – continua Brena –: si sta bloccando la possibilità di avere accesso ai dati e senza questa fase di controllo viene meno anche la possibilità di combattere l’hate speech. Se un fenomeno non lo conosci, come puoi infatti contrastarlo? Le associazioni stanno facendo sempre più fatica a portare avanti queste ricerche. Con la rete contro l’odio abbiamo chiesto anche al Consiglio d’Europa di intervenire perché questa situazione impatta con la libertà di ricerca".

Si spera in un dietrofront, si cercano fondi per riavviare l’osservatorio al più presto: "Stiamo cercando di capire se possiamo accedere a fondi del Pnrr, anche con il nostro centro di ricerca Human All e lanciamo un appello a tutti, anche alle imprese – sottolinea la professoressa D’Amico –. Siamo dispiaciutissimi: anche costruire un software analogo richiede tempo. E ci spiacerebbe non capire cosa sia successo in quest’anno così cruciale, anche con la guerra nella striscia di Gaza in corso".

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