Elena
D’Incerti*
A pensarci bene, i ragazzi che da oggi affrontano l’esame sono più penalizzati dei loro compagni che varcavano lo stesso cancello del liceo un anno fa: è infatti dal marzo del 2020 che non frequentano con regolarità la scuola che avevano imparato a vivere fin da bambini. Una mattinata inaspettatamente uggiosa è la cornice di questo ultimo atto e l’atmosfera è quella delle grandi occasioni celebrate però sottotono. Alle 10 qualcuno esce con l’aria soddisfatta di chi si è tolto un peso: da sotto le mascherine sembrano tradire una voglia irrefrenabile di salutare tutti, mentre sul marciapiede antistante la scuola qualche genitore è in attesa (nessun papà, nessuna mamma scelgono però di entrare a fare da testimoni all’orale: la sedia dell’unico esterno ammesso al colloquio sembra sempre riservata a un amico). Poco più in là capannelli di candidati della tarda mattinata sono seduti sui gradini e affrontano il ripasso scaramantico finale: si riconoscono dalle “sudate carte” che tengono sulle ginocchia e che scorrono con inutile automatismo per l’ultima volta. Dentro invece l’esame assomiglia agli orali di sempre. Si parte con la discussione dell’elaborato: dai sogni delle letterature antiche e moderne si vola alla neurofisiolologia del sonno e alle malattie neurodegenerative. Passano gli anni, ma la dimensione onirica dell’individuo esercita sempre un forte appeal sugli adolescenti: Sigmund ringrazia. Scivola via anche l’analisi testuale di Italiano: la scelta del prof ricade su Saba e permette di parlare della sua infanzia, di traumi, di psicanalisi: si torna al sogno, insomma. Anche nella terza parte riemerge Freud e l’esame, che man mano che passano i minuti rende i ragazzi più sicuri di sé, prende correttamente la forma un percorso integrato: di senso e senza i trabocchetti temutissimi alla vigilia. Dopo un’ora cronometrata con discrezione dalla presidente, il candidato quasi non vorrebbe alzarsi dalla sedia con cui ha preso confidenza, ma risponde alla domanda di rito sul suo futuro: si vede in camice bianco a lavorare in una corsia d’ospedale. Non è già più uno studente liceale e ha l’espressione di chi finalmente realizza che questa prova non è stata solo la fine di un percorso, ma è soprattutto il suo nuovo inizio.
* Docente classico Beccaria