MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Addio alla Bottega della Lana, la storia di riscatto di Mirella Redaelli: dall’orfanotrofio al negozio in Buenos Aires

Milano, chiude lo storico negozio punto di riferimento per le appassionate di lavoro a maglia. La titolare: “Felice di aver trasmesso la mia passione a tante persone”

Mirella Redaelli, 84 anni, titolare della Bottega della Lana di via Pergolesi

Mirella Redaelli, 84 anni, titolare della Bottega della Lana di via Pergolesi

Milano – “Un grazie sincero e di cuore a tutti voi che ho avuto il piacere e la gioia di conoscere e servire in questi 42 anni”. Non ci crede nemmeno lei, che presto la serranda del suo negozio di filati La Bottega della lana di via Pergolesi 1, angolo corso Buenos Aires, si abbasserà per sempre. A poco a poco Mirella Redaelli, di 84 anni, considerata “la nonna delle sferruzzatrici milanesi“ sta svuotando tutti gli scaffali. E ha già appeso la sua lettera d’addio in vetrina.

Via i colori da questa bottega che la signora ha rilevato nel 1982, "diventando titolare – racconta – dopo essere stata una cliente. Perché ho sempre avuto la passione per il lavoro a maglia e qui venivo a comprare i gomitoli".

Solo vestiti autoprodotti

Indossa solo capi realizzati da sé "e sono felice di aver trasmesso la mia passione a tante persone. Oggi si cerca di avere tutto subito e si tende a delegare troppo alla tecnologia: ecco, lavorare ai ferri o all’uncinetto diventa ancora più prezioso perché insegna ad avere pazienza e a non smettere mai di ‘fare’ anche con le mani. In più tiene sempre in moto il cervello”. Non a caso ha sistemato un messaggio in bella vista: “Il lavoro a maglia stimola la corteccia prefrontale del cervello che reagisce attivamente quando si crea qualcosa utilizzando entrambe le mani”.

Affitto troppo alto

Perché chiude i battenti? “Innanzitutto perché faccio sempre più fatica a pagare un affitto che nel tempo è aumentato. Io vendo gomitoli, non gioielli. E poi perché forse è tempo che mi riposi. Anche se non starò certo con le mani in mano”.

L’orfanotrofio

La sua è una storia di riscatto, di quelle che si leggono sui romanzi di formazione. “Sono originaria di Brivio (in provincia di Lecco, ndr) e sono cresciuta in un orfanotrofio alle porte di Milano perché quando avevo 7 anni mia madre abbandonò me e le mie tre sorelle. Io ero la più grande".

L’amore sul tram 27

Una volta maggiorenne, andò ad abitare in corso Buenos Aires e iniziò a lavorare come impiegata in un’azienda di Lambrate. “Un giorno, salendo sul tram 27, bastò un incrocio di sguardi tra me e il tranviere perché scattasse il colpo di fulmine. Ci sposammo dopo 8 mesi". Lui si chiama Gianpiero Buraglio. “Il 30 marzo – rivela – abbiamo festeggiato 60 anni di matrimonio”.

Il genero morto in via Palestro

Mirella e Gianpiero hanno tre figli, Giovanna, Stefano e Marco, e due nipoti: Matteo ed Emma, più un altro in arrivo. Ai clienti ora la signora regala i confetti per le nozze di diamante. A spegnere la gioia, per un attimo, è il pensiero di una disgrazia che la famiglia ha dovuto affrontare nel 1993, "perché mio genero, che era l’agente di polizia locale Alessandro Ferrari, fu tra le vittime della strage di via Palestro". La vita però è andata avanti. E con il sorriso di sempre la signora Mirella si prepara pure a chiudere la sua bottega. "Sorrido perché – promette – non me ne andrò del tutto. Organizzerò degli incontri per lavorare a maglia insieme: chiunque vorrà unirsi sarà il benvenuto”.