Bambini disabili esclusi dai centri estivi: la discriminazione silenziosa

Bambini disabili rimasti fuori perché i Comuni chiedono alle famiglie di pagare l’educatore. "A una mamma chiesti 1.400 euro"

Bimbi ai centri estivi (foto d'archivio)

Bimbi ai centri estivi (foto d'archivio)

Milano - La discriminazione silenziosa si è consumata, e continua a consumarsi, anche questa estate. A subirla sono decine di bambini e adolescenti disabili ai quali, nei fatti, non viene data la possibilità di frequentare i centri estivi. In altri casi tale possibilità viene concessa, ma solo per un numero limitato di settimane: prima e dopo resta il vuoto. I centri estivi sono aperti da metà giugno a inizio settembre e consentono ai bambini di continuare a stare insieme ai propri coetani anche una volta chiuse le scuole. Per quelli che non vanno in vacanza rappresentano un’occasione per trascorrere l’estate in città. Al tempo stesso garantiscono ai loro genitori – in particolare a quelli che lavorano – di avere un posto sicuro e controllato dove lasciarli. Alternative, possibilità e comodità che in più casi vengono negati ai ragazzi con disabilità e alle loro famiglie. È successo anche in queste settimane, a Milano e in altre province lombarde, come riferito da alcune associazioni che hanno avuto segnalazioni. 

I motivi per i quali avviene tale discriminazione sono diversi. Il primo ha a che fare con le ristrettezze economiche, vere o presunte, a seconda dei casi, nei quali si dibattono i Comuni e in nome delle quali le stesse amministrazioni fanno a meno di rinnovare i contratti agli educatori una volta chiuse le scuole, evitano o riducono le proroghe per i mesi estivi impedendo così che più educatori possano lavorare nei centri estivi. Diminuendo il loro numero, diminuisce anche la ricettività degli stessi centri. Il rapporto numerico educatori-bambini è infatti normato per legge. E qui si arriva alla seconda causa della discriminazione silenziosa: il Decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri datato 11 giugno 2020 – prima estate con la pandemia in corso – ha posto particolare attenzione alla proporzione numerica educatori-bambini nel caso in cui questi abbiano disabilità. Nella sezione 2.8 del Dpcm si legge infatti: "Nel caso di bambini e adolescenti con disabilità e/o in situazioni di particolari fragilità, laddove la situazione specifica lo richieda, deve essere potenziata la dotazione di operatori, educatori o animatori nel gruppo dove viene accolto il bambino o l’adolescente, fino a portare eventualmente il rapporto numerico ad un operatore, educatore o animatore per ogni bambino o adolescente inserito". 

Il passaggio chiave è l’ultimo: la prescrizione di passare da un rapporto di un educatore ogni tre bambini ad un educatore per ogni bambino. Una prescrizione che il Dpcm limita a situazioni specifiche ma che nell’interpretazione e nella prassi dei Comuni è finita per diventare vincolante. Da qui il paradosso: una norma mirata a tutelare i minori con disabilità è diventata una norma che, unita alle ristrettezza economiche dei Comuni, ha di fatto complicato l’ammissione degli stessi ai centri estivi, già non automatica quando vigeva (solo) il rapporto uno a tre. 

Problema nel problema: la famiglia può pagare da sé un educatore al posto del Comune ma le somme richieste sono significative e ci sono famiglie costrette a rinunciare. Da qui le segnalazioni giunte alle associazioni: bambini disabili respinti, bambini ai quali è stato concesso di frequentare solo due settimane, famiglie alle quali è stato chiesto di pagare 1.400 euro per 4 settimane per avere un educatore per il figlio e, ancora, famiglie che sono state avvisate solo il 30 luglio dell’impossibilità di avere un posto al centro estivo e senza contradditorio, senza alcuna valutazione condivisa della situazione del minore. "La prassi di non rinnovare i contratti agli educatori, una volta finita la scuola, è del tutto contraria alla legge 328 del 2000, in base alla quale Comuni, scuole e famiglie devono collaborare nel portare avanti un piano individualizzato per il minore con disabilità – spiega Cristina Finazzi, portavoce del comitato “Uniti per l’Autismo“ e presidente dell’associazione “Spazio Blu“ –. Invece non viene neanche garantita la continuità tra l’educatore che segue i ragazzi a scuola e quello che dovrebbe seguirli al centri estivo".

"Mio figlio – fa sapere Finazzi – quest’anno è riuscito a frequentare un centro solo per due settimane, mentre diverse delle 52 famiglie di Spazio Blu non sono riuscite ad avere per i loro ragazzi neanche quelle due settimane. È capitato soprattutto nei grandi Comuni". Quindi Mariella Meli, presidente dell’associazione “Famiglie Disabili Lombarde“: "I Comuni non solo sembrano interpretare a loro modo la prescrizione di avere un educatore per ogni bambino ma si comportano come se non vi fosse possibilità di reperire risorse per retribuire gli educatori, gravando così sulle famiglie. Eppure a giugno Regione Lombardia ha pubblicato il bando Estate Insieme, che mette a disposizione fondi per i centri estivi e l’inclusione sociale. Invece ad una mamma è stato chiesto di pagare 1.400 euro per avere un educatore e un posto al centro estivo per 4 settimane".  

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