REDAZIONE MANTOVA

Scandalizzò Lutero per la sua opulenza, ora l’abbazia di Matilde chiede aiuto

Colpita dal terremoto del 2012 ha recuperato solo alcuni tesori di Tommaso Papa

l monastero di San Benedetto Po

Mantova, 5 ottobre 2015 - La sua opulenza fece andare in bestia Martin Lutero, che vi soggiornò all’inizio del Cinquecento. Il monastero di San Benedetto Po esisteva da 5 secoli ed era la Cluny lombarda, di poco più piccolo del celeberrimo convento in terra di Francia ma altrettanto ricco di vestigia storiche e artistiche, nel comune segno della tradizione benedettina. Il complesso sorto tra le rive dei fiumi Po e Lirone (da qui il nome di San Benedetto in Polirone) in queste settimane ospita gli ultimi eventi per il nono centenario dalla morte di Matilde di Canossa. La potente feudataria, scomparsa il 24 luglio del 1115, dominatrice di una contea che abbracciava Toscana, Emilia e Lombardia, sostenitrice del Papato durante la lotta per le investiture, fu la sponsor più generosa dell’insediamento monastico della Bassa Mantovana. Lo aveva fondato il nonno Teodaldo nel 1007, facendone una delle tante fortezze di famiglia, e ora il sito  - quasi in omaggio alla sua signora -  regala nuove esaltanti scoperte artistiche.

L’ultima in ordine di tempo è quella di un crocefisso in terracotta che per secoli si era confuso tra le mille opere accatastate nel monastero e che grazie agli studi del professore fiorentino di arte antica Aldo Galli, è stato attribuito senza ombra di dubbi a un maestro della scultura quattrocentesca, Michele Dini, più noto come Michele da Firenze. Ora l’opera campeggia in una delle navate della chiesa abbaziale, nella quale sono raccolti capolavori firmati da maestri del calibro di Giulio Romano, Correggio, Paolo Veronese, Antonio Begarelli o Girolamo Bonsignori. Nel segno di Matilde e della sua opera illuminata si colloca quest’anno anche la conclusione del recupero di importanti ali del monastero, danneggiate dal terremoto del 2012. Sono tornati a splendere il maestoso scalone settecentesco che conduceva al piano nobile e agli appartamenti dell’abate e soprattutto lo scriptorium e la biblioteca dei benedettini, tanto colti e importanti da poter ospitare nel Medio Evo tre cattedre universitarie. 

Le scosse di tre anni fa hanno colpito duro il complesso polironiano come forse non aveva fatto neppure Napoleone, che lo chiuse alla fine del Settecento. I danni hanno sfiorato i due milioni: nel 2013 sono stati recuperati il museo e i chiostri, l’anno dopo il grande refettorio, in grado di ospitare centinaia di monaci contemporaneamente (ai tempi di Matilde erano un migliaio con diaconi e novizi) e le cantine sottostanti. Resta chiusa la preziosa e fragile infermeria del convento, un edificio imponente trasformato in anni recenti in albergo (ospitò a inizio Duemila Ermanno Olmi e la troupe dei ‘Cento chiodi’) e poi in un ostello. «E’ la nostra spina nel cuore _ racconta Federica Guidetti, giovane conservatrice del museo polironiano dal 2008 _ sarebbe utilissima una struttura per l’accoglienza dei visitatori, visto che puntiamo molto sul turismo congressuale e il paese offre pochi posti letto. Ma un Comune come ilnostro da solo non può farcela». 

di Tommaso Papa