"Noi, abitanti della terra di nessuno Niente casa con i contratti brevi"

A Lodi arrivano dal Gambia, molti sono appena ventenni. Vivono accampati sotto il ponte della tangenziale. Tra muri imbrattati e sporcizia, potrebbero pagare l’affitto ma non sono in grado di dare garanzie

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di Laura De Benedetti

"Abbiamo un lavoro, ma nessuno ci dà una casa perché non abbiamo garanzie. I contratti di pochi mesi alla volta non sono ritenuti sufficienti. E così viviamo qui, da circa sei mesi". A parlare sono alcuni giovani, molti appena ventenni, qualcuno arriva ai 30 anni, quasi tutti originari del Gambia, che vivono in quella terra di nessuno che è la doppia pista ciclopedonale sotto il ponte della tangenziale. Un doppio terrazzamento – in mezzo c’è la struttura portante del ponte – sotto le quattro corsie dove sfrecciano auto e camion, che si affaccia sull’Adda e che collega la zona Isolabella – parcheggio dell’ospedale, attracco fluviale – col Revellino, area Canottieri.

Un percorso abbandonato subito dopo la costruzione: nei tratti sterrati lungo il fiume che portano alle quattro bretelle di accesso, solo erba incolta e sporcizia. Sulla ciclabile, i muri imbrattati, le luci rotte e poi gli accampamenti: con tanto di resti carbonizzati di fuochi accesi con rami recuperati nel sottobosco su cui poggiano pentole con avanzi di cibo, materassi, tante coperte perché il caldo è recente e la primavera è stata alquanto rigida. E ancora, sparpagliati lungo il percorso, biciclette, scarponi, abiti. Eppure per tanti giovani quella è casa, è comunità, è un dono del cielo: "Ringraziamo Dio", ripetono a più voci.

Per loro il disagio più grande lì, in quella sorta di tunnel sospeso tra il fiume verde azzurro e lo smog dei mezzi che fanno vibrare l’intera struttura, non sono il freddo o le condizioni invivibili, l’assenza di igiene bensì la mancanza di privacy, di una stanza tutta per loro. "I più sono al lavoro – spiegano quelli presenti nel pomeriggio, una decina, tra chi fa due chiacchiere e chi dorme – Possono pagare un affitto ma non hanno un contratto. Come potete aiutarci? In un solo modo, dandoci una casa".

Un 23enne, in Italia da sette anni, mostra sul cellulare la convocazione, per l’indomani alle 7, in una logistica a Landriano, nel Pavese. Non sa neppure come arrivarci, pensa a un treno fino a Milano e poi diretto a Pavia; partirà in nottata ma non perderà l’appuntamento: "Devo aiutare mia mamma nel mio Paese – spiega il giovane – Io, a differenza dei più, divido una camera in affitto con altre quattro persone ma vengo qui, sul ponte, per stare con gente della mia comunità".

Sono arrivati col barcone, attraverso il Mediterraneo, ammettono: "Siamo tra quelli che ce l’hanno fatta, che non sono annegati". Per loro venire qui non è inseguire il miraggio di una vita dorata, visto magari su Internet: "Saremmo dovuti partire comunque perché da noi la povertà è assoluta, non c’è niente – conclude uno di loro – Anche se un domani andrò a scuola e magari riuscirò ad avere una bella vita, ricorderò ciò che ho passato. Grazie a Dio".