REDAZIONE LODI

Moschea a Casalpusterlengo, gli islamici non si fermano: secondo ricorso al Consiglio di Stato

Continua la guerra sul centro di via Crema. A marzo il Tar aveva dato ragione al Comune che lo vuole chiuso, ora il ricorso dei fedeli

Risale al gennaio 2019 l’ordinanza municipale che intima di ripristinare il luogo alla sua vocazione urbanistica originaria

Risale al gennaio 2019 l’ordinanza municipale che intima di ripristinare il luogo alla sua vocazione urbanistica originaria

Casalpusterlengo (Lodi) – Continua il braccio di ferro tra fedeli islamiciComune di Casalpusterlengo sul centro culturale di via Crema.

La questione va avanti da anni, da quando cominciò la ristrutturazione del fabbricato dismesso al di là della ferrovia, e finì poi a carte bollate quando un’ordinanza municipale del gennaio 2019 intimò al responsabile del centro di aggregazione e di culto di ripristinare, entro i successivi 90 giorni, i luoghi alla loro vocazione urbanistica originaria e cioè a servizi tecnologici, tenuto conto che l’utilizzo dell’immobile come spazio di preghiera cozzava contro le norme del Piano di governo del territorio.

I rappresentanti della comunità islamica avevano quindi fatto ricorso al Tar, impugnando la decisione comunale. Ma il pronunciamento della giustizia amministrativa del 20 marzo di quest’anno ha dato ragione alle tesi dell’ente pubblico. Il Tar entrava nel merito su diversi punti e concludeva che “la libertà di esercizio della religione non potrebbe di per sé giustificare una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri poiché è evidente che un immobile, in tesi carente dei requisiti strutturali o di zonizzazione, non potrebbe essere trasformato in una moschea o, allo stesso modo, in una chiesa per l’esercizio del culto religioso, solo in nome di una malintesa “libertà di culto“”. I musulmani, sconfitti al primo round, non si arrendono. Il loro legale ha già presentato ricorso al Consiglio di Stato e ora il Comune è costretto a resistere in giudizio, nominando a sua volta un avvocato.

La questione moschea affonda le radici nel tempo, quando gli islamici pregavano in un piccolo locale di via Fugazza: già qui il Comune mise in atto un braccio di ferro a colpi di sopralluoghi e intimazioni ad andarsene, perché gli spazi non erano idonei. La circostanza portò i musulmani a ristrutturare appunto l’immobile di via Crema.