
Stefania Piscopo e il suo libro sulla Sla
Magenta (Milano), 18 dicembre 2019 - Un dramma raccontato tra le pagine di un libro può diventare speranza per milioni di "caregiver". Persone che spendono il loro tempo nella cura di un malato cronico, di solito un famigliare. "A loro ho voluto dire: non siete soli". Stefania Piscopo, magentina di 45 anni, ha visto la propria vita cambiare completamente nell’ultimo anno, dopo che i medici hanno diagnosticato a sua mamma Graziella – per tutti "Lella" – la Sla. Era il dicembre del 2018 e il mondo di Stefania è crollato. Oggi Lella non c’è più, è mancata lo scorso 24 novembre, ma un segno indelebile della sua battaglia è rimasto nelle pagine di "Mi manca la tua voce", il "diario" della malattia, che Stefania aveva cominciato a scrivere per sé, come fosse una sorta di terapia. In pochi mesi, tra maggio e novembre, è stato completato e le prime cinquecento copie sono letteralmente sparite.
Poi l’approdo sui social con la creazione della pagina Facebook "Essere un caregiver", che ha portato centinaia di persone nella stessa situazione di Stefania a intravedere uno spiraglio nella solitudine: "Non riesco a stare dietro ai messaggi che mi scrivono – racconta l’autrice –. Mi dicono grazie per aver dato voce a una figura che non è ancora riconosciuta come dovrebbe. C’è una legge in Senato ma è ferma. Oggi il caregiver deve chiedere ferie, riduzione di orario, permessi, legge 104… non esiste una tutela. In Italia ci sono sette milioni di caregiver e bisogna far capire loro che non sono da soli, che c’è tanta gente che sta passando lo stesso identico inferno. Io ho parlato di Sla, ma esistono alzheimer, parkinson, tetraplegia…". La storia della malattia di mamma Lella ha costretto Stefania – di professione infermiera - a sperimentare sulla propria pelle "due sanità", come ha ammesso lei stessa: la prima, fino a maggio, fatta di medici disattenti, "che hanno sempre e solo usato la parola "inguaribile" e ci hanno abbandonati a noi stessi, senza considerare cure palliative e ventilazione assistita. L’empatia non è per tutti, lo capisco, ma esistono la gentilezza e l’attenzione". Poi l’incontro con un’altra sanità, molto diversa: "Quando mamma è uscita dalla rianimazione siamo stati presi in carico dall’Hospice di Abbiategrasso e dall’ambulatorio Sla di Novara. Parlavano di "curare" il paziente, anche quando questo non può guarire".
E la battaglia è ricominciata. Tra le pagine del diario e le cure di mamma Lella. In quelle righe Stefania parla di rabbia, frustrazione e rassegnazione: "Con la Sla sai già che non puoi vincere… in più la malattia è imprevedibile e non ti permette di pianificare la tua vita. Con il senno di poi, però, ho vissuto bei momenti insieme a mamma, che mi ha aiutato a scrivere questo libro. Piccoli traguardi da raggiungere giorno dopo giorno che ci hanno donato un futuro: il primo saggio di danza di mia nipote, il mio compleanno e il loro anniversario di matrimonio. Ora quando ci penso sorrido, anche se nulla sarà più come prima".