
Luca Schiera, Paolo Marazzi e Giacomo Mauri
Lecco, 20 febbraio 2020 - Una montagna senza nome, che nessuno ha mai visto e che spunta nel bel mezzo della distesa ghiacciata dello Hielo Norte, nella Patagonia cilena. "Sappiamo solo che c’è e a giudicare dall’ombra che proietta sul terreno, osservando le immagini dal satellite, dovrebbe avere anche una grande parete", dicono i tre scalatori che puntano a raggiungere quel luogo sperduto e selvaggio per tentare di salirla. Non sarà facile. È iniziato lunedì sera il viaggio di Luca Schiera, climber di Erba, Paolo Marazzi, guida alpina di Como e Giacomo Mauri, di Lecco. "Fortunatamente, quasi per caso, è saltata fuori una vecchia foto dell’esploratore britannico Eric Shipton che nel 1964 passò di lì mentre attraversava quell’immensa distesa di ghiaccio e per puro caso sullo sfondo spunta un enorme parete. È quella". Altre informazioni non ne esistono anche perché sono pochissime le persone che fino adesso si sono avventurate da quelle parti e quei pochi si sono spinti verso il Cerro Arenales, il grande vulcano che rappresenta una delle cime più alte del Sud America.
È bastato questo per convincerli a organizzare materiali e viveri per quasi due mesi e partire. Paolo Marazzi e Luca Schiera, che indossano il maglione rosso dei Ragni di Lecco, non sono nuovi ad avventure del genere: nel cuore dell’immenso Campo de Hielo Norte c’è una montagna che fino all’anno scorso era praticamente sconosciuta e che ora si chiama Cerro Mangiafuoco dopo che sono riusciti a scalarla per la prima volta, e ancora prima avevano aperto una via sullo sconosciuto e inaccessibile Cerro Mariposa. Determinato e concentrato Luca Schiera, insieme ai compagni, nei giorni prima della partenza ha pianificato il più possibile la spedizione, cercando di capire soprattutto cosa potrebbe andare storto. "Ci sono un po’ di incognite in più rispetto all’anno scorso. Ma prima o poi dovevamo andare a vedere", racconta Luca Schiera che nonostante i suoi solo 29 anni ha già un curriculum che conta nuove vie aperte sulle montagne di mezzo mondo, dal Karakorum all’Himalaya, dall’Isola di Baffin all’Angola, il Kirghizistan , la Cina e ovviamente la Patagonia.
Nel libro della storia dell’alpinismo sta scrivendo le ultime pagine del capitolo “esplorazione”, dimostrando che anche oggi è un’attività più viva che mai. "Raggiungeremo Coyhaique, poi in auto fino a Caleta Tortel, sulle rive di un grande lago. Lo attraverseremo in barca per 30 chilometri e poi ci faremo lasciare alla fine di un fiordo. Da lì in poi saremo soli. In linea d’aria saranno circa 50 i chilometri che ci separano dalla montagna ma dovremo trovare un percorso attraverso un labirinto di crepacci prima di raggiungere la distesa ghiacciata dello Hielo Norte – spiega Schiera –. Avremo una slitta sulla quale caricheremo un centinaio di chili di materiale oltre al cibo. Poi ogni giorno pianificheremo cosa fare. Diciamo che è più quello che non sappiamo di quello che conosciamo, ma ci interessa questo tipo di esplorazione. Sulle Alpi non puoi certo farlo e non restano poi tante zone così anche nel resto del mondo. Qui ci sono centinaia di chilometri in cui dobbiamo essere assolutamente autonomi. Soprattutto poi con l’idea di scalare una montagna". Il freddo, le distanze, i crepacci e il temibile vento che soffia da quelle parti sono alcuni degli ostacoli che si troveranno ad affrontare nei prossimi giorni: "Da casa può anche fare paura e se si pensa che la minima cosa che va storta può fregarti, ma quando siamo lì non proviamo mai quella sensazione. Ci guardiamo intorno. Ci siamo dentro e siamo concentrati su quello che dobbiamo fare giorno per giorno. Seguiamo il ritmo delle giornate, scandito dalla luce e dalla situazione meteo e non è poi così spaventoso. Anzi direi che ormai ci sentiamo a nostro agio".