Fallimento Gestisport, 500 collaboratori a casa: "Il Covid ci ha mandato in crisi"

L’amministatore delegato Luigi Vescovi si dice "mortificato", ma la conclusione è stata inevitabile. Chiusi nove centri sportivi: dal Lecchese al Varesotto, fino a Pavese e Milanese

Le piscine di Merate e Oggiono purtroppo sembrano destinate a rimanere chiuse a lungo

Le piscine di Merate e Oggiono purtroppo sembrano destinate a rimanere chiuse a lungo

Merate (Lecco) - "Abbiamo cercato fino all’ultimo di trattare per vendere la società o affittarla in modo da evitare il fallimento per assicurare un lavoro a tutti i nostri collaboratori sportivi e l’apertura a tutti i nostri clienti degli impianti che gestivamo. Non ci siamo riusciti e abbiamo dovuto portare i libri in tribunale. Siamo veramente mortificati". A parlare è Luigi Vescovi, 63 anni domani, amministratore delegato e uno dei tre proprietari di Gestisport, la cooperativa sportiva dilettantistica dichiarata fallita l’antivigilia di Natale a cui erano affidati in appalto i centri sportivi comunali di Merate e Oggiono in provincia di Lecco, Gorla Minore e Jerago in provincia di Varese, Voghera nel Pavese e ancora Bresso, Carugate, Lainate e San Donato nel Milanese, dove fino a venerdì mattina, prima che su richiesta del curatore fallimentare Mario Candiani e ordine del giudice del tribunale di Milano scattasse la serrata, si guadagnavano da vivere 500 collaboratori sportivi e si allenavano, nuotavano e seguivano corsi fino a 25mila utenti.

"Non siamo riusciti a riprenderci dalla pandemia da Covid – prosegue -. Durante il lockdown, come tutti gli operatori del settore, siamo stati i primi a chiudere e quasi gli ultimi a riaprire, gli aiuti onoltre sono arrivati tardi e pochi. Contavamo lo stesso di riprenderci, per questo abbiamo ottenuto di accedere alla procedura di concordato preventivo in continuità diretta. Nel frattempo abbiamo trattato con diversi potenziali investitori interessati a rilevare la società o ad affittare un ramo d’azienda, senza alcuna pretesa di guadagno perché consapevoli della situazione. A noi premeva solo onorare i debiti con i fornitori, garantire un lavoro ai nostri collaboratori che nei periodi migliori sono stati 600 e rispettare gli impegni con i cittadini delle comunità di cui ormai ci sentivamo parte". La situazione finanziaria tuttavia non era più sostenibile, per questo l’altro giorno è scattata la chiusura di tutte le strutture, inizialmente prevista verso fine marzo in esercizio provvisorio.