Merate, il clandestino e il neonato in trappola: "L’ho salvato a costo dell’espulsione"

La favola di Niang, 39enne senegalese. Il prefetto lo premia: può rimanere in Italia

Niang Mousse Diarra Bur, clandestino-eroe

Niang Mousse Diarra Bur, clandestino-eroe

Merate (Lecco), 7 luglio 2018 - Bur tradotto in italiano significa speranza e la speranza di Niang Mousse Diarra Bur, senegalese di 39 anni che abita a Merate, cittadina della Brianza lecchese, era di non essere più un irregolare, peggio, un clandestino. E la speranza di Bur si è avverata: il prefetto di Lecco gli ha concesso il permesso di soggiorno perché l’estate scorsa ha salvato un neonato chiuso in auto allertando i soccorritori, sebbene su di lui pendessero già due decreti di espulsione, rischiando di essere di identificato e di nuovo espulso. «Pur consapevole della possibilità di rimpatrio coatto, si è adoperato per salvaguardare il bambino, dando prova di senso civico e appartenenza alla comunità», recita il decreto prefettizio.

Ci racconta cosa è successo?

«Ho visto una donna piangere disperata picchiare contro il finestrino di un’auto perché aveva per sbaglio chiuso dentro il figlio molto piccolo. Me lo ricordo bene, era il 3 luglio dell’anno scorso, si moriva di caldo. Nessuno si è fermato per aiutarla, era straniera come me. Io allora prima mi sono tolto la maglietta per metterla sul parabrezza in modo da fare ombra al neonato, poi ho telefonato al 112 per chiamare i soccorsi. Ho dovuto comunicare le mie generalità, sapevo che i carabinieri avrebbero scoperto che non avrei dovuto trovarmi là perché ero stato espulso due volte».

Avrebbe potuto scappare prima del loro arrivo...

«Non potevo abbandonare quella mamma, era troppo e agitata. So di essere povero, ma noi del Senegal siamo ricchi di cuore». Da quanto è in Italia? «Sono sbarcato a Lampedusa il 25 marzo 2013, dopo aver aver attraversato il deserto a piedi ed essere salpato dalla Libia. Dei compagni che erano con me la maggior parte sono morti nel deserto durante la traversata: il deserto e il mare sono cimiteri immensi».

Perché ha lasciato il Senegal?

«Non potevo guadagnarmi da mangiare. Il negozio dei miei genitori è fallito e non ho potuto ultimare gli studi perché non avevo più i soldi per l’università. Non riuscivo a trovare lavoro e mi vergognavo troppo a vivere sulle spalle dei miei familiari»

In Italia cosa fa?

«A Merate aiuto le persone a posteggiare in cambio di qualche spicciolo se me lo danno perché non mi piace insistere. Ad agosto però vado a Senigallia per fare il vucumprà come dite voi. Qui ho trovato tanta brava gente che mi ha accolto, gli italiani sono generosi e non ho mai avuto problemi, basta comportarsi bene. Non importa se si è poveri, l’importante è essere onesti e gentili. Non ne posso più dei profughi che creano difficoltà col loro comportamento, sono una vergogna per noi altri e i nostri Paesi d’origine».

Qual è adesso la sua speranza?

«Voglio lavorare tanto e poi fare un viaggio a casa dai miei, non li vedo da cinque anni, mi mancano e ho nostalgia del Senegal»