In cella da innocente "Colpa del dialetto tradotto in modo sbagliato"

Brescia, il calvario di un funzionario dell’Ufficio delle Entrate ora risarcito "Ancora oggi alle tre di notte mi sveglio e non riesco più a dormire".

In cella da innocente  "Colpa del dialetto  tradotto in modo sbagliato"

In cella da innocente "Colpa del dialetto tradotto in modo sbagliato"

La prima cosa che racconta e che ha ancora in testa il suono di quel campanello che alle tre lo butta giù dal letto. "Mi capita di svegliarmi a quell’ora con il cuore in gola. E non dormo più". Mario Micaletto è un funzionario dell’Agenzia delle Entrate che, l’8 novembre 2021, fu arrestato nell’ambito di un’inchiesta per corruzione in cui erano coinvolti anche imprenditori, finanzieri e un commercialista - il processo è in corso - per la Procura in un giro di tangenti. Il pubblico ufficiale da subito parlò di un errore, si professò estraneo ai fatti, ma fece ugualmente 23 giorni in cella. A Canton Mombello, carcere sovraffollato e fatiscente, in pieno Covid. Ci volle il Riesame per rimetterlo in libertà, e diversi interrogatori - davanti al gip, e poi al pm - perché la sua posizione fosse archiviata. Nei mesi scorsi, mettendo il sigillo alla sua innocenza, la Corte d’appello gli ha liquidato un indennizzo non solo per l’ingiusta detenzione, ma anche per i danni biologici, morali, patrimoniali e di immagine nella forma massima. "Una rarità, un riconoscimento così esteso", dicono gli avvocati Alessandro Bertoli e Mauro Bresciani che hanno assistito il funzionario durante il suo calvario. E nei giorni scorsi il provvedimento è diventato definitivo. "L’errore nasce da un equivoco generato dalla difficile interpretazione di un’intercettazione ambientale - ha spiegato Bertoli -. La trascrizione errata derivava da una conversazione in dialetto bergamasco cui sembrava che un commercialista millantasse di avere consegnato a Micaletto soldi per ammorbidire la contestazione tributaria a un imprenditore. Micaletto aveva realmente firmato quella contestazione, ma riascoltando l’intercettazione abbiamo capito che non era lui il riferimento per la dazione. È un funzionario integerrimo, non ha mai preso tangenti. Abbiamo anche dimostrato che all’epoca del presunto reato si trovava a 800 km da Brescia". Ha il groppo in gola se pensa alla notte in cui, con moglie e figli in casa, i finanzieri perquisirono l’abitazione e lo portano in carcere. "Pensavo fossero ladri, invece era la Finanza. È stata una mazzata. Eravamo in 12 in cella, con un bagno solo. Un periodo costellato da notti insonni, perdita dello stipendio e paura di vedere negli occhi delle persone il sospetto, una sensazione che mi sono portato dietro a lungo". E oggi? "Da quella vicenda ne sono uscito indebolito, ma anche rafforzato: alla fine la mia innocenza è stata riconosciuta". Beatrice Raspa