
Usama El Santawy
Lecco, 7 marzo 2017 - Voleva reclutare anche lui e convincerlo ad unirsi alla causa del tagliagole di Daesh, ma l’imam del centro di Chiuso di Lecco Usama El Santawy, che ha 35 anni, prima ha cercato di dissuaderlo, poi ha raccontato tutto e lo ha denunciato agli agenti della Digos di Milano. Grazie all’imbeccata l’arruolatore dell’Isis è stato identificato, si tratta di Monsef El Mkhayar, un foreign fighter 21enne di origini marocchine che adesso è sotto processo a Milano per terrorismo internazionale, sebbene ormai nessuno sappia che fine abbia fatto. La vicenda risale al 2015, quando la guida spirituale musulmana era responsabile della comunità di Cinisello Balsamo.
«Mi ha contattato più volte tramite la chat di Facebook – racconta il religioso islamico -. Io ho provato a spiegargli che la violenza non ha nulla in comune con la nostra fede, che si stava comportando da «cane dell’inferno», purtroppo non è servito a niente». Quando ha compreso che avrebbe realmente compiuto ciò gli aveva annunciato e in cui voleva coinvolgerlo, non solo ha stroncato ogni dialogo, ma ha deciso di rivolgersi agli uomini della Divisione investigazioni generali e delle operazioni speciali, fornendo loro tutti gli elementi utili per identificarlo. Il nome utilizzato dal reclutatore sui social network era falso, dall’account tuttavia si è risaliti alla sua vera identità. Dalle indagini coordinate dal Pm Piero Basilone è emerso che il combattente del Califfato, ospite da ragazzo in una struttura di recupero per minorenni, si sarebbe radicalizzato in carcere a San Vittore nel 2013. L’imam probabilmente dovrà comparire in aula in tribunale come testimone. Inoltre è consapevole che qualche estremista potrebbe fargliela pagare cara.
«So di essere diventato un target, un bersaglio – confida -. Minacce non ne ho ricevute, ma simili persone non sono tipi da avvertimenti, quando decidono di eliminarti lo fanno e basta». Eppure non si pente, se potesse tornare indietro nel tempo si rivolgerebbe di nuovo agli investigatori. «Era innanzitutto mio dovere di cittadino avvisare e mettere in guardia su quanto stava avvenendo. Il mio ruolo inoltre mi impone di essere un esempio per tutti i fedeli e di proteggerli, perché chi ammazza gli altri trincerandosi dietro Allah non solo commette un peccato imperdonabile, ma mette a repentaglio l’intera nostra comunità, gettando ombre su chi in realtà contrasta i seguaci dell’Isis». Ha paura di eventuali ritorsioni? «Sì, ogni tanto ci penso, avrei preferito che la mia denuncia non venisse resa pubblica – ammette -. Io però ho fatto solo quello che doveva essere fatto, non c’erano altre alternative, per il resto, Inshallah».