Margno, gemelli uccisi dal padre: "So cosa prova quella donna, vorrei aiutarla"

Bashkim Dobrushi è il papà delle tre bambine uccise dalla madre a Chiuso nel 2014: "Temevo di perdere la testa"

Bashkim Dobrushi, 51 anni, con il figlio

Bashkim Dobrushi, 51 anni, con il figlio

 Lecco, 1 luglio 2020 -  «Che Dio la aiuti e aiuti anche i familiari di lui, perché sono tutti vittime. Se lei lo vorrà mi piacerebbe incontrarla, perché purtroppo io so quello che sta provando e ciò che dovrà affrontare. Magari potrei esserle utile". Bashkim Dobrushi, 51 anni di Chiuso, continua a pensare e ripensare a Daniela Fumagalli, la 45enne di Gessate a cui tra venerdì e sabato Mario Bressi, il marito della sua stessa età da cui si stava separando, ha ucciso nel sonno a Margno i loro due gemellini 12enni Elena e Diego. La notte di domenica 9 marzo 2014 l’ex moglie Edlira Copa oggi 43enne ha ucciso le loro tre figlie Simona di 13 anni, Keisi di 10 e Sidny di 3. "Quando sabato mattina ho saputo della tragedia che si è consumata così vicino è stato tremendo – racconta lui -. È come se fossi stato catapultato di nuovo a quel giorno. Mio fratello che lavora in una agenzia di onoranze funebri tra l’altro è stato chiamato per recuperare le salme del padre e dei due fratellini: è stato male anche lui e non è riuscito ad occuparsi dei corpicini dei bimbi...". Non sa come abbia potuto superare quel momento né dove abbia trovato la forza di andare avanti. "Ho temuto di non riprendermi più, per almeno quattro mesi è come se mi fossi trovato su un altro mondo completamente deserto, mi sono spesso sorpreso a parlare da solo – ricorda -. Credo siano stati i miei familiari, il lavoro che grazie al cielo non è mai mancato, i colleghi, gli amici e le tante persone di Lecco che mi sono state vicine o semplicemente mi salutavano per strada anche senza conoscermi ad aiutarmi.

Mi ha sostenuto anche Dio: io sono musulmano, sebbene abbia messo piede più volte in una chiesa che in una moschea perché tanto Dio è uno solo. Se ce l’ho fatta io a non perdere la testa può e deve farcela anche lei. Se ha bisogno io ci sono, abbiamo tutti da imparare dalle esperienze degli altri, anche da quelle più brutte". Lui è riuscito a ricostruirsi una vita: è diventato cittadino italiano, si è risposato e ha un altro figlio che ad aprile compirà due anni: "Si chiama Sebastian, l’ho chiamato Sebastian perché il nome contiene le lettere dei nomi delle mie tre bimbe e del mio. Sebastian è un dono di Dio e una benedizione. Il dolore e la sofferenza restano, ci dovrò convivere per sempre e non voglio nemmeno cancellarli perché non voglio dimenticare, ma con Sebastian sono più sopportabili. Quando sono triste, stanco, sto male come sabato, mi basta guardarlo e prenderlo in braccio per riprendermi. Lui è la mia medicina". Della donna che ha ucciso i suoi tesori invece non vuole saperne più nulla. "Odiarla non mi restituirà Simona, Keisi e Sidny, augurarle il peggio non serve, verso di lei non provo assolutamente niente".