Catalogo delle single di Lecco, condanna definitiva. Ma le vittime soffrono ancora

La Cassazione respinge il ricorso: l’ideatore del book di donne trovate su Facebook deve scontare 18 mesi di carcere. L’avvocato Marraffino: “Alcune sono ancora seguite dallo psicologo”

La copertina del Catalogo delle single e l'ideatore Antonio Nicola Marongelli

La copertina del Catalogo delle single e l'ideatore Antonio Nicola Marongelli

Lecco – “Una sentenza che fa giurisprudenza e che mette un punto fermo sull’utilizzo dei profili pubblici sui social”. È il commento dell’avvocato Marisa Marraffino sulla sentenza passata in giudicato del “Catalogo delle single”. La Cassazione ha rigettato il ricorso sulla sentenza d’Appello, ora la condanna nei confronti di Antonio Nicola Marongelli, 60enne, residente nel Lecchese, autore del “Catalogo" è definitiva: pena un anno e sei mesi di reclusione e il risarcimento di mille euro per ciascuna delle parti civili. I reati contestati: trattamento illecito di dati, diffamazione aggravata e sostituzione di persona.

L'avvocato Marisa Marraffino
L'avvocato Marisa Marraffino

L’idea del catalogo

La vicenda risale al 2017 quando Nicola Antonio Marongelli pensa a un catalogo delle donne single, spulcia nei profili pubblici su Facebook, copia foto e informazioni alcune anche private, ad esempio orientamento sessuale, via e indirizzo di casa, luogo di lavoro, e realizza un e-book con 1.218 profili con un messaggio: “Donne che vivono a Lecco e si dichiarano single”. L’iniziativa lecchese, nelle intenzioni di Marongelli, come emerso durante il processo di primo grado, doveva essere pilota e poi sviluppata su scala nazionale. Lo slogan: “5 euro, il costo di un drink”.

La scoperta e la denuncia

Il catalogo è stato distribuito online e l’intervento della Procura di Lecco, allora guidata da Antonio Chiappani, l’aveva sequestrato, bloccandone la diffusione. A denunciare e trascinare Marongelli in tribunale sono state 26 delle donne finite nel catalogo. L’imputato si è sempre difeso pubblicamente: le persone che compaiono nel catalogo – è stata la tesi difensiva del suo legale, l’avvocato Stefano Pelizzari – hanno deciso liberamente tramite le impostazioni Facebook quali informazioni rendere visibili a chiunque, quali solo ai propri amici e quali invece non divulgabili.

Il trauma delle vittime 

Durante il processo di primo grado al tribunale di Lecco, davanti al giudice Maria Chiara Arrighi, erano state sentite le 26 donne parti lese, insegnanti, medici, infermiere, giornaliste con racconti sconvolgenti e alcune durante la deposizione è scoppiata in lacrime. “Alcune di loro - spiega l’avvocato Marisa Marraffino - hanno subito un trauma profondo, sono provate psicologicamente e non si sono ancora riprese perché si sono ritrovate a loro insaputa su quel catalogo, con tanto di orientamento sessuale e di indirizzi, altre sono tuttora seguite da uno psicologo”.

Una sentenza importante

“Questo processo – prosegue l’avvocato Marraffino – è il primo su un tema così delicato: sono soddisfatta che la Suprema Corte abbiamo dato un indirizzo ben preciso e un punto fermo sull’utilizzo dei social, anche quelli con un profilo pubblico”. I tre gradi di giudizio sono stati sulla stessa linea: il giudice monocratico del tribunale di Lecco, Maria Chiara Arrighi aveva condannato il 60enne a un anno e 6 mesi e risarcimento delle parti civili, sentenza confermata dalla IV sezione delle Corte d’Appello di Milano e ora – con il rigetto del ricorso avanzato da Marongelli da parte della Cassazione – la sentenza è passata in giudicato. “È passato un principio fondamentale – conclude l’avvocato Marraffino – l’autodeterminazione dell’utente che sceglie quando, dove e come pubblicare informazione personali che lo riguardano” Inoltre la Suprema Corte pone modifiche alla legge sulla privacy che tutti dovranno osservare”.