
L'edificio di corso Matteotti
Lecco, 3 settembre 2019 - Per quasi trent'anni è stata una delle più brutte ferite della città. Non perché a Lecco manchino scempi urbanistici sia chiaro ma perché questo toccava nel vivo uno dei suoi simboli. Oggi, dopo quasi trent’anni di indecoroso abbandono, nell’edificio neogotico delle Officine Badoni gli operai sui ponteggi lavorano alacremente per ridare dignità a una delle ultime vestigia di un passato industriale di un borgo che proprio sulla lavorazione del ferro ha costruito la sua fortuna. «Abbiamo colmato un vuoto acquistando il bene all’asta rimasto abbandonato per troppi anni», ci racconta Mario Romano Negri, presidente della Fondazione Comunitaria del Lecchese, che da vent’anni si occupa proprio di tutelare l’ambiente e favorire politiche attive per la cittadinanza. «Una volta terminati i lavori di riqualificazione, restituiremo l’immobile alla città pensando poi a una destinazione nobile».
Su cosa fare all’interno la Fondazione Comunitaria del Lecchese dovrà dialogare insieme al Comune di Lecco, proprietario a metà dell’immobile per via di alcuni crediti mai incassati. «La mia idea è quella di destinarlo ai giovani o comunque a una sorta di “incubatoio” di idee o start-up, un po’ come avviene con la Cariplo Factory a Milano», fa sapere Negri. Un’idea affascinante in sè che avrebbe come filo conduttore proprio il lavoro come destinazione ultima dell’area: nel passato con la siderurgia e oggi a con mouse e pc. E pensare che l’edificio neogotico ha rischiato pure di venire abbattuto. La conferma nella convenzione urbanistica originaria (1993) tra il Comune di Lecco e il Gruppo Acqua Marcia (la società poi fallita, che proprio sulla vecchia area edificò l’attuale complesso residenziale “Il Parco del Broletto”) tanto che vi fu costruita quasi in aderenza una delle “torri” residenziali, contravvenendo alla semplice norma edilizia che prescrive la distanza di almeno dieci metri tra fabbricati. Si è salvato l’edificio voluto dal ragionier Giuseppe Badoni per dare “lustro” alla sua attività grazie al vincolo monumentale posto in extremis dalla Soprintendenza che nel 1999 lo ha preservato dalle mani di imprenditori affamati e politici miopi.