Nuove norme Superbonus in vigore: come fare con i crediti incagliati, rischio contenziosi

L'allarme lanciato da costruttori e banche: "L'allungamento dei tempi deciso dal governo non è la soluzione"

Sono entrate ufficialmente in vigore le nuove norme riguardanti il Superbonus, misura varata dal governo Conte II con l'obiettivo di facilitare il rilancio del settore edilizio dopo lo tsunami Covid. Il governo Meloni, fra i suoi primi provvedimenti, ha deciso per una profonda revisione dello "sconto", in primis portandolo subito dal 110 al 90%. L'operazione sta creando, però, alcuni problemi, primo fra tutto quello dei crediti incagliati nel passaggio fra un protagonista e l'altro dell'intervento edilizio oggetto di richiesta di bonus. 

Il rimedio

La via d'uscita con cui il governo prova a risolvere il problema dei crediti incagliati è quella di concedere tempi più lunghi per scontare i crediti derivanti da cessione o sconto in fattura per gli interventi legati al Superbonus. La soluzione, però, non sembra incontrare il gradimento soluzione di banche e imprese, da giorni in prima linea per tentare una mediazione su una situazione che desta grande preoccupazione: questa non è la strada giusta, avvertono, e il rischio ora è che si blocchi tutto, con una pioggia di contenziosi.

Come fare con i crediti

La soluzione sul nodo della cessione dei crediti è contenuta nel decreto aiuti quater, appena pubblicato in Gazzetta, insieme alla modifica della disciplina del Superbonus, che dal 2023 si riduce al 90%. La norma riguarda i crediti di imposta "derivanti dalle comunicazioni di cessione o di sconto in fattura inviate all'Agenzia delle entrate entro il 31 ottobre 2022 e non ancora utilizzati": questi crediti potranno essere fruiti in "10 rate annuali di pari importo" al posto dell'originaria rateazione (di 4 anni). Chi fosse interessato a godere di questa opportunità dovrà inviare una comunicazione all'Agenzia delle entrate. La quota di credito d'imposta non utilizzata nell'anno "non può essere usufruita negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso".

Le reazioni

Questo intervento, però, per i diretti interessati non basta a risolvere il problema. "Purtroppo questo allungamento, che noi prendiamo come uno sforzo del governo che ha voluto dare una mano per lo sblocco dei cassetti fiscali, servirà a ben poco", spiega all'Ansa la presidente dell'Ance (Associazione nazionale costruttori) Federica Brancaccio, che non nasconde la preoccupazione: "Pensiamo che si bloccherà tutto". L'ipotesi di un allungamento dei tempi era già emersa nei giorni scorsi e l'Ance aveva già detto che quella non era la soluzione. "Perché la banca che ha già comprato pagando un utilizzo in 5 anni, certamente non se lo porta a 10", spiega Brancaccio mentre per le imprese "il problema è che che se anche hanno capienza fiscale, la liquidità dove la prendono? Non è che puoi reggere senza monetizzare". L'Ance si è mossa insieme all'Abi nei giorni scorsi presentando al governo una proposta per utilizzare in compensazione gli F24 presi in carico dalle banche per conto dei loro clienti.

L'ultimo sprint

Con le ultime modifiche alla disciplina del Superbonus scatta anche la corsa dei condomini a sfruttare l'ultima finestra utile per l'agevolazione al 110%. Il decreto aiuti quater infatti abbassa il superbonus al 90% dal gennaio 2023, ma non per chi avrà presentato la Cila (comunicazione di inizio lavori asseverata) entro il 25 novembre. In caso di interventi condominiali serve anche la delibera assembleare che abbia approvato l'esecuzione dei lavori e che sia stata adottata prima di quella data. Per le abitazioni unifamiliari, invece, chi al 30 settembre ha completato almeno il 30% dei lavori potrà pagare i lavori usufruendo del 110% fino al 31 marzo (anziché il 31 dicembre). Per il resto le villette, cui viene riaperta la porta all'agevolazione (da gennaio 2023 sarebbero state escluse dal bonus), nel 2023 potranno avere il bonus al 90% ma a condizione che il contribuente sia proprietario o titolare "di diritto reale di godimento", che l'immobile sia l'abitazione principale e che abbia una reddito (calcolato col quoziente familiare) non superiore a 15mila euro.