Lo stipendio non basta: in Italia un lavoratore su dieci è povero

Il rapporto di una commissione ad hoc del ministero del Lavoro: l'11,8% degli occupati italiani risulta povero, contro la media europea del 9,2%

Un lavoratore in acciaieria

Un lavoratore in acciaieria

Roma - Si può finire in povertà anche avendo un lavoro. Un quarto degli occupati ha infatti una retribuzione bassa (inferiore al 60% della mediana) e più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà (vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana). E' quanto emerge dalla relazione del gruppo istituito dal ministro Andrea Orlando sulle misure di contrasto alla povertà lavorativa, la Commissione sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia del ministero del Lavoro, che oggi ha presentato il suo Rapporto conclusivo 2021.

Un fenomeno che risulta più marcato anche nella comparazione con gli altri stati europei fatta da Eurostat: nel 2019, l'11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media Ue del 9,2% La povertà, si legge nel documento, "è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro, quante ore a settimana e quante settimane in un anno; la composizione familiare, e in particolare quante persone percepiscono un reddito all'interno del nucleo; e il ruolo redistributivo giocato dallo Stato". Per questo le categorie più a rischio sono i lavoratori occupati solo pochi mesi all'anno, o a a tempo parziale o ancora i lavoratori autonomi, monoreddito e con figli a carico.

E' per questa sua natura, dunque, spiegano ancora gli economisti della task force, che la povertà lavorativa necessita di una strategia complessa che preveda la contemporanea messa a terra di una molteplicità di strumenti con cui sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo ben mirato. Cinque le proposte elaborate per un pacchetto da rendere operativo contestualmente in ogni sua parte. Si parte dalla garanzia di un salario minimo adeguato, rafforzandone la vigilanza documentale, per passare all'introduzione di forme di sostegno al lavoro, il cosiddetto 'in-work benefit', e al'incentivazione del rispetto del contratto da parte delle aziende aumentando la consapevolezza e l'informazione tra gli stessi lavoratori oltre che a promuovere una revisione dell'indicatore Ue di povertà lavorativa.

Si torna dunque a parlare di salario minimo. Ma alla proposta sperimentale della Commissione, di limitarlo ad un numero limitato di settori in crisi, si associa anche un'altra proposta: quella di creare un sostegno economico che integri i redditi dei lavoratori poveri gli 'in-work benefit' con cui aiutare chi si trova in difficoltà economiche incentivando il lavoro regolare. Uno strumento, si legge, con cui di fatto, assorbire gli 80 euro, ora bonus dipendenti, e la disoccupazione parziale per arrivare ad uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il Reddito di cittadinanza e il nuovo Assegno unico. Tutti gli interventi disegnati dalla commissione avranno comunque bisogno di una contemporaneità operativa perché, si legge, "nessuna proposta presa in isolamento è risolutiva" e se non combinate con altre potrebbero rischiare di essere inefficaci (come un salario minimo senza controlli più stringenti) o addirittura dannose (un in-work benefit senza minimi salariali adeguati e rispettati). Una strategia, però, prosegue il dossier, che dovrà affrontare "anche le debolezze macroeconomiche e di politica industriale, le politiche per il lavoro (politiche attive, regolazione lavoro atipico, contrattazione) e gli investimenti in istruzione e formazione con l'obiettivo di aumentare quantità e qualità del lavoro nel nostro Paese".