LA PANDEMIA FA BENE AI PAGAMENTI DIGITALI, VOLA IL MOBILE

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TUTTI SE LO ASPETTAVANO e, alla fine, la conferma è arrivata dai numeri. Nell’ultimo anno, complice la pandemia che ha obbligato milioni di italiani a non muoversi di casa per settimane intere e a fare molti più acquisti online di prima, è diventato sempre più frequente anche il ricorso ai pagamenti digitali, effettuati con mezzi alternativi al vecchio e caro denaro contante: non soltanto con le carte di credito o i bancomat ma anche con le più innovative app degli smartphone, i telefonini di nuova generazione.

A dirlo sono i dati dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui le transazioni digitali svolte in Italia nel 2020 sono state oltre 5,2 miliardi, per un importo totale di 268 miliardi di euro. A dire il vero, il valore assoluto dei pagamenti digitali è sceso leggermente rispetto al 2019 (-0,7%), soprattutto per colpa del crollo dei consumi, che ha fatto diminuire tutte le transazioni, sia quelle tradizionali effettuate con il contante, sia quelle che avvengono con strumenti più avanzati. Tuttavia, analizzando più nel dettaglio i dati, emerge che i pagamenti effettuati con mezzi elettronici hanno visto aumentare la loro quota dal 29 al 33%. Ciò significa che ormai una transazione su tre non avviene più con la moneta di carta o con gli spiccioli ma per via digitale. Senza dimenticare, poi, che vi è stata comunque una crescita a due cifre per alcune specifiche tipologie di operazioni.

È il caso, per esempio, dei pagamenti classificati come contactless, cioè quelli effettuati appoggiando la credit card al Pos del negozio senza la classica "strisciata". In un anno sono aumentati a un ritmo del 29%. Le transazioni che avvengono attraverso gli smartphone e altri dispositivi mobili hanno registrato invece un incremento superiore addirittura all’89%. A dare una spinta notevole ai pagamenti digitali è stato in primis il boom del commercio elettronico (e-commerce). A causa del lockdown e del distanziamento sociale, le famiglie hanno effettuato nell’ultimo anno moltissimi acquisti online (+26% in 12 mesi), che ovviamente richiedono il versamento della somma spesa con la credit card o altri strumenti digitali.

In questo scenario assai favorevole alla moneta elettronica, la scorsa settimana il governo Draghi ha però fatto una scelta controcorrente: non ha inserito nella nel suo Recovery Plan, cioè nel piano nazionale di riforme messo in cantiere per far ripartire l’economia, il tanto discusso Cashback di Stato. Si tratta, per chi non la conoscesse, di quella iniziativa ideata dal governo Conte per spingere i consumatori a utilizzare con più frequenza i pagamenti digitali, rimborsando loro una parte delle somme spese con la carta di credito, il bancomat o con le carte prepagate per effettuare acquisti nei negozi, nei bar, nei ristoranti, nei supermaket o nei centri commerciali (escluso l’e-commerce). Nei mesi scorsi il Cashback di Stato sembrava destinato a entrare tra le misure include Recovery Plan mentre adesso, con il cambio di governo, il suo destino appare appeso a un filo. Dopo un primo round a fine 2020, attualmente l’iniziativa resta in vigore fino alla fine di giugno e consentirà di avere un rimborso del 10% della somme spese per via digitale (con un tetto massimo di 150 euro a testa), purché il consumatore svolga un minimo di 50 transazioni elettroniche.

Al momento, non è ancora chiaro che ne sarà del Cashback di Stato nel secondo semestre dell’anno. Secondo la tabella di marcia iniziale, l’iniziativa doveva durare fino al giugno 2022, ora si parla di una proroga accompagnata però da modifiche nei mesi a venire, forse con la prossima Legge di Bilancio. Di recente il noto think tank The European House – Ambrosetti ha stimato che il Cashback, da qui a fine 2022, potrebbe portare generare oltre 22 miliardi di euro di consumi aggiuntivi, ma costerà alle casse pubbliche quasi 4,8 miliardi per i rimborsi. Bisogna dunque pesare bene sul piatto della bilancia i costi e i benefici.