Lavoro, il gender gap è un dato di fatto: “In Lombardia donne pagate il 14% in meno”

Lo scarto, documentato dall’Inps, tocca tutte le province. Luigi Ducoli (Inps Brescia): “Il part-time sicuramente spiega molto, ma non tutto”

La differenza salariale c'è a tutti i livelli, anche quelli dirigenziali

La differenza salariale c'è a tutti i livelli, anche quelli dirigenziali

Milano – La maggiore frequenza del part-time spiega in parte il perché le lavoratrici donna hanno retribuzioni inferiori dei colleghi uomini, a parità di mansione. Ma non basta questo a giustificare un gap salariale che, in Lombardia, è del 14% sulla retribuzione annuale.

"C’è anche una componente di discriminazione", afferma Luigi Ducoli, presidente del Comitato provinciale dell’Inps di Brescia. Ducoli ha fatto un’analisi sui dati bresciani, in occasione dell’8 marzo, che però va a toccare un tema trasversale a tutte le province lombarde, ovvero la differenza di genere dei redditi. Che ci sia uno scarto importante, del resto, è documentato dalla stessa Inps che, nel dossier da poco pubblicato sui divari di genere del mercato del lavoro e nel sistema previdenziale, ha delineato evidenziato una disparità importate tra uomini e donne in termini di retribuzioni: 14% il gap per quella annuale, pari a circa 10mila euro, 12% per quella giornaliera. Nel 2022, in particolare, gli uomini hanno percepito mediamente 32.900 euro, le donne 23.406 euro, quasi 10mila euro in meno.

"Il part-time – spiega Ducoli, nell’ambito di un incontro organizzato nella sede della Cgil Brescia – sicuramente spiega molto, ma non spiega tutto. Anche ripulendo i dati del part-time, si nota che a fronte di una piccola differenza di giornate lavorate, del 2/3%, la differenza retributiva tra uomini e donne continua ad essere del 30%". Ciò vale ad ogni livello di carriera. Guardando i dati Inps delle retribuzioni annue per i dipendenti privati, si vede che nessuna qualifica è esente da un gap retributivo importante. A livello regionale, tra gli operai la media per un uomo è di 22.119 euro all’anno, per una donna di 13.142 euro all’anno, ma anche tra i dirigenti, se per gli uomini la media è di 180mila euro, per le donne si scende a 140mila euro, il 22% in meno. Ma anche nel pubblico, dove dovrebbero esserci meno margini di discrezionalità, la situazione cambia poco, perché straordinari e avanzamenti di carriera ‘appesantiscono’ con maggiore frequenza le retribuzioni maschili. "Pur depurando i dati da tutti questi fattori che potrebbero spiegare la differenza di genere resta comunque un gap importante – sottolinea Ducoli – per questo dico che, a monte, c’è anche una componente di discriminazione verso le lavoratrici. Non è solo una questione di percezione, ma ci sono i dati a dimostrarlo".

Altro importante capitolo è quello della tipologia di lavoro: le donne, infatti, sono per lo più impiegate in lavori di cura, assistenza e nell’insegnamento, mentre i lavori più retribuiti sono appannaggio dei lavoratori. Da qui la necessità di insistere con l’avvicinamento delle ragazze, sin da bambine, a materie Stem, ovvero a quelle materie scientifiche che permettono di avere sbocchi in carriere meglio retribuite.