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FACEBOOK SFIDA CLUBHOUSE, L’ONDA SOCIAL FA AFFARI D’ORO SULLA PAROLA

DITE UNA COSA INNOVATIVA. Ditela, usate la voce. Parlate. La rivoluzione del decennio è il ritorno al logos, al verbo. In principio era la parola e la parola irrompe con la sua forza nella modernità. La parola, la conversazione, l’oralità: l’ultima frontiera dei social, ma anche la nuova frontiera del marketing. I social riscoprono le conversazioni. Il primo è stato Clubhouse, con effetto-successo immediato, lo hanno seguito Twitter (con Spaces) e ora anche Facebook che nei giorni scorsi ha annunciato il lancio dei post sonori. Clubhouse ospita gli iscritti in stanze virtuali dove possono parlare, confrontarsi, raccontare. La parola al posto delle immagini che hanno fatto la fortuna di Instagram e Facebook, la parola che è più profonda, esaustiva, ricercata dei 140 caratteri di Twitter o dello scatto postato su Instagram. Ora Zuckerberg (in alto a destra) accetta la sfida di Clubhouse, e rilancia una serie di prodotti che sfruttano le potenzialità della voce.

Nasceranno così su Facebook le Stanze audio in diretta anche su Messenger, saranno utilizzati i podcast e sarà disponibile (probabilmente dall’estate) un nuovo formato di post sonori che prenderà il nome di Soundbite. "Il nostro obiettivo è sfruttare l’audio in modo semplice e coinvolgente, perché possa essere vissuto a pieno in un contesto sociale", ha detto Fidji Simo, vice presidente e responsabile dell’app Facebook. Simo ha precisato anche che la piattaforma consentirà ai creator audio "la possibilità di ottenere profitti dal proprio lavoro". Non è una precisazione inutile, perché il ritorno della voce non è semplice poesia ma è molto business. Lo ha capito il marketing. Soprattutto negli Stati Uniti. Spot, contenuti legati ai brand, produzioni orientate. Il campo è amplissimo. E punta su tre fronti. Quello dei social orali, come appunto Clubhouse e come sarà il nuovo Facebook; il grandissimo mercato dei podcast; e infine gli assistenti vocali come Alexa o Google Home.

"Per i brand – spiega later.com – il marketing vocale è un’alternativa di grande appeal perché i costi sono inferiori rispetto alle produzioni video". Il mercato tra l’altro è pronto ad accogliere i contenuti vocali. Una ricerca Nielsen segnala che nel 2020 almeno 13,9 milioni di italiani hanno ascoltato almeno una volta un podcast, con una crescita del 15% rispetto al 2019. La fascia di età tra i 24 e i 35 anni ha ascoltato almeno 5 podcast al mese, con una capacità di attenzione incredibile: dai 22,9 minuti di media ai 31,4 minuti di chi ascolta podcast tutti i giorni. Il lockdown ha dato una mano: il 24% ha aumentato gli ascolti durante le chiusure. In America il 64% degli consumatori di podcast segue le registrazioni mentre guida, il 49% mentre cammina, il 43 % mentre fa sport. Marketing e pubblicità ci sguazzano. Un modello comunicativo sono i podcast legati ai brand. Sephora, ad esempio, ha creato un canale podcast chiamato Lipstories con conversazioni sul divertimento e l’immagine di se stessi.

Un altro canale estremamente appetibile per chi fa comunicazione commerciale è rappresentato dagli assistenti vocali. Qui siamo oltre l’immaginazione. Con Alexa, Google Assistant ed Echo si dialoga, si domandano informazioni, si ottengono suggerimenti. L’intelligenza artificiale predittiva affina di giorno in giorno le abilità (chiamiamole così) degli assistenti. Le opportunità sono enormi. Il produttore di whiskey Jameson, ad esempio, utilizza Google Home e Google Assistant: l’assistente vocale suggerisce le ricette per i cockatil migliori. "Il 35% degli utilizzatori di assistenti vocali – annota later.com – si affida alla tecnologia per chiedere informazioni su abbigliamento e prodotti di largo consumo".

Infine, i nuovi social. Appena è nato Clubhouse, molte aziende hanno iniziato a provare le opportunità vocali. Con stanze di conversazioni orientate a settori di interesse o direttamente al brand. Il gioco funziona: la scorsa settimana Clubhouse ha chiuso un nuovo round di finanziamento stellare. In gennaio la piattaforma con sede a San Francisco aveva raccolto capitali tali da fare salire il suo valore a un miliardo di dollari; ora, secondo Bloomberg, il valore è salito a 4 miliardi. La stessa cifra per cui voleva comprarla Twitter. Senza riuscirci.