
È PASSATO un anno dalla firma del protocollo con la ministra Bellanova, ma adesso finalmente si è concluso il negoziato per l’esportazione di riso italiano da risotto in Cina. Le 17 riserie italiane che avevano fatto richiesta di esportare in Cina, sono state autorizzate dalle autorità cinesi competenti. Le varietà interessate sono principalmente Carnaroli, Arborio e Vialone nano. L’Italia è, attualmente, il primo produttore di riso dell’Unione europea, con oltre il 50% della produzione totale. Il nostro riso è ‘coperto’ anche da marchi dop e igp che riconoscono le specificità dei territori di origine. Con 228mila ettari coltivati (+4% nel 2020) e 4mila aziende che raccolgono 1 milione di tonnellate di riso lavorato, si contano più di 200 varietà: dal Carnaroli, il "re dei risi", all’Arborio e al Vialone Nano, primo riso Igp, passando per il Roma e il Baldo.
Attualmente il 60% del riso italiano è destinato all’export, soprattutto in Germania e in Inghilterra. Con quest’ultimo passaggio si è aperto un altro mercato importantissimo dove il riso è tradizionalmente il primo alimento ma dove le varietà italiane da risotto sono praticamente sconosciute. Soddisfatta Airi (Associazione Industrie Risiere Italiane), che rappresenta 31 industrie del settore e oltre l’80% del fatturato nazionale. "Un risultato storico – commenta il presidente Mario Francese – perché permetterà di raggiungere con il nostro cereale 50 milioni di potenziali cinesi della ‘high-middle class’. Ci auguriamo ora che i cinesi affianchino alle borse Gucci anche qualche risottata come emblema di prodotto italiano".
Intanto in Italia le intenzioni di semina (Fonte: Ente Risi) per il 2021 parlano di un incremento di quasi 2.000 ettari (+0,9%) rispetto alle semine del 2020, per effetto degli aumenti registrati per la tipologia dei Lunghi B (+5.825 ettari) e dei MediLunghi A (+4.910 ettari). In controtendenza la tipologia dei Tondi che fa segnare un calo del 13% (-8.754 ettari). Infine soddisfazione del mondo produttivo per le misure restrittive adottate dall’Europa contro il Myanmar (ex Birmania) dopo il colpo di Stato. Il Paese asiatico godeva di un regime di favore da parte dell’Unione (niente dazi doganali).