FABRIZIO LUCIDI
Cultura e Spettacoli

Ritradurre Roth senza un Lamento: "Portnoy non può invecchiare. Ma oggi finirebbe in shit storm"

Matteo Codignola è stato incaricato da Adelphi di rifare la versione italiana delle opere del maestro americano .

Matteo Codignola è stato incaricato da Adelphi di rifare la versione italiana delle opere del maestro americano .

Matteo Codignola è stato incaricato da Adelphi di rifare la versione italiana delle opere del maestro americano .

A lui spetta il (grato) compito di (ri)tradurre uno dei più grandi scrittori del ventesimo secolo, sua maestà Philip Roth, morto a 85 anni senza quel Premio Nobel della Letteratura che avrebbe strameritato. Adelphi ha scelto Matteo Codignola per far riscoprire nell’Anno Domini 2025 l’universo del maestro di Newark, New Jersey. Compito non facile, viste le tante biblioteche nelle case di famiglie dell’upper class italiana - vera o presunta - con tutti i libri di Roth, letti davvero o lì solo per fare scena poco importa. Adelphi ha scelto di partire niente di meno che da “Portnoy“ (l’ex “Lamento di Portnoy“), classe 1969. Una seduta di psicoanalisi trasformata in un’anarchica standup perennemente in bilico tra protesta, sesso estremo, religione e - perché no? - politica.

Codignola, pentito dopo le proteste per l’abolizione nel titolo del “Lamento“ (“Complaint“, in inglese, ndr)? "Vuol dire molte cose diverse che non coincidono con lamento...E comunque no, non sono pentito. È stata una scelta ragionata. Detto questo, rispetto tutte le opinioni, anche contrarie".

Quanto tempo ci ha messo a tradurre Portnoy? "Sei mesi, più o meno. Ma non faccio mai solo una cosa alla volta, porto avanti più lavori contemporaneamente".

Perché è importante leggere, o rileggere Roth oggi? "Roth non si smetterà mai di leggere e rileggere. Lui ha il dono della qualità, sempre più raro nel panorama che oggi ci circonda".

Perché siete partiti da Portnoy e non, seguendo la cronologia, dal primo “Goodbye, Columbus“? "Domanda da girare all’editore. Comunque, Portnoy è un unicum: a distanza di 60 anni conserva una vitalità incredibile. È un libro attorno al quale ruota tutta l’opera di Roth. Quel libro cambiò la sua immagine di autore, il suo rapporto con la popolarità. Dopo Portnoy, Roth non è più stato lo stesso, e non ha mai smesso di chiedersi perché. Piuttosto, traducendolo, mi sono sorpreso accorgendomi di quanto poco sentisse il passare del tempo".

Non ha trovato ostacoli nel tradurre un libro così contundente e - se vogliamo - politicamente scorretto, in tempi post #MeeToo come questi? "Molto pochi...Diciamo che le traduzioni invecchiano molto più dei testi originali. Vale per tutti, un testo tradotto del 1910 risulta quasi illeggibile oggi. Nel caso di “Portnoy“ sono rimasto fedele alla specificità del testo, alla fortissima componente orale. Mi è venuto naturale tradurlo nel modo più semplice, stando attento al suono del testo, un testo “fisico“, quasi da recitare".

Quale sarà il prossimo libro di Roth tradotto? "Lo scrittore fantasma".

Quando uscì Portnoy, il filosofo Gershom Scholem commentò: “Questo libro rischia di provocare un secondo Olocausto“. Oggi nessun libro scatenerebbe una ridda di polemiche. O nascerà un altro Roth? "Impossibile. Oggi non esistono margini per fare scandalo in quel modo. Colpisce, rileggendolo oggi, quanto fosse grande il peso che aveva la letteratura allora. Roth scrive sapendo che, pur non potendo forse cambiare le cose, avrebbe potuto cambiare la percezione, il punto di vista, del suo lettore. Oggi lo scandalo vive qua e là, l’indignazione si esaurirebbe nel giro di 24 ore e finirebbe in una shit storm. Poi si passerebbe subito ad altro...Non c’è più bisogno di un Portnoy che rompa le regole: i rapporti in famiglia sono diversi, la religione conta sempre meno, la politica ha un’influenza risibile. E oggi la forza d’urto dello scrittore è svanita".

Sembra sparita pure la voglia di protestare nei giovani, di rivendicare i propri diritti, la voglia di cambiare il mondo. "La protesta di Portnoy era frutto di un clima di rivolta, giusto o sbagliato che fosse. Lui esprimeva un atteggiamento collettivo, dei tanti che fecero il ’68, di rigetto dell’autorità. Oggi il contesto è cambiato: si posta un like su Gaza, perché non costa nulla, poi si va a far la spesa. Svanita la protesta, però, è rimasto il malessere. Quello sì...".