DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Milano, Paolo Hendel domani al teatro Delfino: "L'età mi ha donato consapevolezza"

L'attore toscano torna sul palco con «La giovinezza è sopravvalutata», un brillante e riflessivo monologo scritto con Marco Vicari, regia di Gioele Dix

Paolo Hendel sul palco del teatro Delfino a Milano

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Milano - È sempre meglio dell’alternativa. D’accordo. Ma invecchiare non è esattamente una cosa che mette di buon umore. Eppure è proprio quell’eterno ragazzaccio di Paolo Hendel che prova a ricordarci sul palco la bellezza del diventare grandi con "La giovinezza è sopravvalutata", monologo scritto con Marco Vicari, da domani al Teatro Delfino. Alla regia Gioele Dix. Per un assolo divertito di un enfant terrible che ha appena compiuto 70 anni. Quasi non ci si crede. Hendel, si sente davvero così anziano? "No, affatto. Ma bisogna pur prendere coscienza degli anni che passano. Sul tema Giacomo Leopardi parlava de "la detestata soglia di vecchiezza". Io però non credo sia una cosa così detestabile. Anzi. E vorrei convincere anche gli spettatori. Il grande geriatra Francesco Maria Antonini, che ebbi la fortuna di conoscere a Firenze, sottolineava sempre la bellezza di un’età ricca di fantasia e di creatività. Certo avendo l’accortezza di seguire alcune buone pratiche, a partire dal nascere da genitori longevi... Era molto ironico il professore". Qualcosa di un po’ più fattibile? "Mai tirare i remi in barca, rimanere curiosi, indignarsi, perché anche incazzarsi a volte fa bene. E poi, come ha detto recentemente Ornella Vanoni, tornare un po’ bambini, riscoprire il gioco, la libertà. Un’idea che si collega a una cosa che ripeteva Mario Monicelli: "La vita è un balocco", va affrontata con la giusta dose di leggerezza, dando importanza solo alle cose che meritano e non prendendosi troppo sul serio". Cosa le ha regalato l’età? "La consapevolezza. Faccio ancora stupidate ma prima me ne accorgevo con vent’anni di ritardo, ora in tempo reale. Non so se sia meglio, certe cose le dovrei proprio evitare. Ma per quello ci vuole una prontezza di riflessi diversa, si vede che ho bisogno di invecchiare ancora un po’". Fare l’attore aiuta a rimanere curiosi? "Io ho iniziato per il bisogno fisiologico di ridere delle cose negative della vita. Dopo aver accumulato a lungo, ho sorpreso me stesso facendo questa cosa sul palco, già piuttosto grandicello, ma d’altronde sono sempre stato in ritardo su tutto. Pensi che mia figlia l’ho avuta a 54 anni mentre i social li ho scoperti solo durante il lockdown. Oggi è una salvezza poter esorcizzare l’esistenza facendolo di mestiere, per me è la possibilità di continuare a giocare". Quando si è divertito di più giocando? "Io non amo le dirette in tv, al contrario del teatro dove invece sto bene, respiro la sintonia col pubblico, gli umori della serata. Anche se non riuscirei mai più a fare come a trent’anni, quando salivo sul palco senza nemmeno sapere cosa dire o casa fare, mi viene l’ansia solo a pensarci. Ma è stato molto bello pure il periodo con la Gialappa’s. Registravo gli interventi, in un contesto di grande fiducia e creatività. La stessa nascita del Pravettoni è merito loro. Ho dei ricordi incredibili di quegli anni".