DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Jerry Calà, i tormentoni? Doppia libidine. “Saper improvvisare, un istinto”

L’attore-cantante macina concerti, ora anche un documentario: “Ho un pubblico transgenerazionale”. E sui cinepanettoni: “Avrei dovuto pensarci un attimo prima di abbandonare"

Jerry Calà

Jerry Calà

A volte basta la parola: libidine. Quasi un passe-partout fra generazioni. Dagli anni 80 in avanti. Sempre amatissimo Jerry Calà. Anche fra i più giovani. Che lo seguono in massa alle sue serate di musica e tormentoni. Domenica passa vicino a Milano, al Fell in Love di Pogliano Milanese con “Una vita da libidine”, prodotto da The Best Organization. Cinquant’anni di carriera. In uno spettacolone coi fiocchi. Dove vale tutto. Insieme alla JerrySuperBand.

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Jerry, ma come è nato il tormentone?

“Durante la lavorazione di “Bomber” con Bud Spencer. A un certo punto c’era questa scena in cui assistevo a un incontro di boxe e il regista Michele Lupo mi disse che ci sarebbe stato un crescendo in tre momenti, tre pugni sempre più forti che io avrei dovuto contrappuntare con qualcosa. E a me venne in mente di fare “Libidine, doppia libidine, libidine con i fiocchi!””.

Un’illuminazione.

“Proprio così. Ma io ho sempre avuto questa predisposizione, non so come chiamarla. Già con i Gatti di Vicolo Miracoli mi mettevo a storpiare le parole e mi accorgevo che i ragazzi le ripetevano subito. Fu anche il successo di “Capito?””.

Tanti sono cresciuti con quel 45 giri in cameretta.

“La mia carriera è piana zeppa di queste cose. È sorprendente come anche i ragazzi conoscano benissimo i tormentoni di decine di anni fa. Ho un pubblico trangenerazionale. Ed è merito soprattutto dei miei film che continuano a essere programmati e che si trovano senza problemi sulle piattaforme”.

Lei com’era da ragazzo?

“A 14 anni avevo già il mio primo complessino di musica beat dove suonavo la chitarra elettrica. Poi al liceo incontrai gli altri Gatti che facevano parte della Filodrammatica della scuola. Suonavamo sul palco e prendevamo in giro i professori, motivo per cui non è che fossimo proprio ben visti. Da lì è partita l’avventura. Fino a quando non continuai da solo, a inizio anni 80”.

Come successe?

“Avevamo fatto due film con Carlo Vanzina, “Arrivano i Gatti” e “Una vacanza bestiale”. A quel punto però i produttori iniziarono a chiamarmi per ruoli da protagonista. Una scelta dolorosa, non fu facile. Ma certi treni passano una volta sola”.

A quale film è rimasto più legato?

““Vacanze di Natale” dove interpretavo Billo, personaggio che in qualche modo mi porto ancora dietro sul palco. Sono sempre un po’ Billo quando faccio le mie serate. Ma forse il mio preferito è “Un ragazzo e una ragazza” con Marina Suma e la regia di Marco Risi. Grazie a lui iniziai a mostrarmi come attore completo, non solo il comicaccio da tormentoni”.

Si considera sottovalutato?

“Forse, qualche volta. Ma è abbastanza naturale quando parti come comico. La storia è piena di attori illustri che sono poi stati rivalutati. Per fortuna io sono entrato nella categoria “cult” e qualche soddisfazione continua ad arrivarmi”.

Di cosa va orgoglioso?

““Vita smeralda” è un buon film, che ha anticipato alcuni temi successivi, fra cui lo scandalo di Vallettopoli. Ma è un percorso che continua. Ho appena presentato il documentario “Chi ha rapito Jerry Calà?” al Sorrento Film & Food Festival, dove mi hanno premiato alla carriera”.

Fu premiato anche in Germania per “Diario di un vizio” di Marco Ferreri.

“Esperienza incredibile. Durante la proiezione ero seduto di fianco a Werner Herzog, senza sapere chi fosse. Al termine si voltò verso di me e mi disse che un giorno avrei potuto essere orgoglioso di raccontare a mio figlio di aver fatto un film così”.

C’è qualcosa oggi che farebbe diversamente?

“Viviamo continue sliding door, vai a sapere cosa sarebbe successo. Forse però avrei potuto pensarci un attimo prima di abbandonare i cinepanettoni. Non avrei fatto Ferreri ma economicamente penso che starei un pochettino meglio. Mi piace però credere nel destino”.

Una qualità?

“Mi riconosco il fatto di non mollare mai. Posso metterci anni ma in qualche modo realizzo il progetto che ho in testa. Sono cocciuto”.

Sul palco sembra sempre divertirsi un mondo.

“È la mia fortuna. Considera che il lavoro è faticoso, durante l’anno faccio tantissime date, in estate davanti a piazze con 5mila spettatori. Ma quell’ora e mezza ti ripaga poi di tutto. Sono tornato adesso alla Capannina di Forte dei Marmi ed è stata una festa pazzesca”.

Canzone del cuore?

“Se non faccio “Maracaibo” non mi fanno uscire. Ci ho provato ma è impossibile. Il bello è che tutti pensano che sia mia, magari! E mi piace molto cantare Battisti, lui e Mogol rimangono insuperabili. Inizio con un medley delle sue canzoni, gli spettatori lo adorano”.

Dopo tanti anni ha capito perché piace?

“Sono nella categoria ragazzi simpatici ma non bellissimi. Il segreto quindi diventa la risata. O almeno una volta era così. Adesso non so perché ho smesso di praticare”.