ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Jack Savoretti: "Amo l’Italia, ma che fatica farmi notare"

Jack Savoretti fa sold out al Fabrique

Jack Savoretti

Milano,24 febbraio 2017 - Un album per adulti. Anzi, una raccolta di fotografie. Quelle della sua vita familiare con la moglie-attrice Jemma Powell e i due figli. Per Jack Savoretti “Sleep no more” è un disco di sentimenti che stasera condivide con il popolo del Fabrique dando fondo alla magia primitiva del suo folk-rock a pronta presa. Tutto con i fantasmi di Paul Simon (“Kathy’s song” rimane una delle sue canzoni preferite, quella che esegue sempre durante le prove), Tim Buckley, The Band dietro le quinte.

Il suo legame con Milano parte da lontano.

«La prima volta che ho suonato in Italia, il Paese di mio padre, è stato dieci anni fa al Rolling Stone di corso XXII Marzo con Corinne Bailey Rae. Poi però nessuno, a Milano come altrove, è sembrato più interessarsi a me. Così ho iniziato a carezzare l’idea folle di girare il Paese suonando nei piccoli locali, nei bar e nelle pizzerie. E, dopo tanta fatica, sono orgogliosissimo di suonare stasera in un Fabrique esaurito».

Pensa che il cammino avrebbe potuto essere più agevole?

«Di sbagli ne ho fatti, ma non mi rimprovero nulla. In Inghilterra chiamiamo ‘trial and error’ il modo di raggiungere un obiettivo imparando dai propri errori. Quindi, nessun rimpianto».

Soddisfatto di come è stato recepito “Sleep no more”?

«A giudicare dai numeri di questo tour direi proprio di sì, e ogni sera m’incuriosisce vedere quali sono le canzoni che la gente ha fatto sue; quelle che ama di più».

Che ruolo ha oggi l’Italia nella sua percezione del mondo?

«Importantissimo. Anzi, nella mia ottica personale, l’Italia viene forse addirittura prima dell’Inghilterra. Quando salgo sull’aereo per Milano mi sento felice. Certo, qui da voi gli ostacoli per farsi conoscere non mancano ma, se ce la fai, è una delle conquiste più belle. Per arrivare le strade sono poche e passano tutte attraverso le radio, la televisione o Sanremo. Mancano i locali e pure i circuiti per promuovere quel che fai. Peccato, perché questo è un Paese con una gran voglia di scoprire nuova musica e di andare oltre il meccanismo che la governa attualmente».

Ma un meccanismo c’è pure oltre Manica.

«Certo. Però hai più opportunità. In Inghilterra ho suonato in diversi brutti posti, ma sempre con una luce in fondo al tunnel; qui, invece, ogni tanto ho perso fiducia e ho dovuto stringere i denti per ritrovarla. Anche se sono state proprio le difficoltà a farmi capire di che stoffa sono fatto e qual è il mio amore per la musica. Ricordo ancora quando tutti mi dicevano che ero fuori strada, che le strategie di penetrazione sul mercato avrebbero dovuto essere altre».

In Italia, come ha detto, c’è Sanremo.

«L’ho visto e sono molto contento della vittoria di Francesco Gabbani, perché è uno che ha lavorato duro, credendoci fino in fondo. Penso rappresenti una bellissima bandiera per la canzone italiana».

Ma lei a Sanremo ci andrebbe mai in gara?

«Ho iniziato a fare musica perché odio le competizioni, se no avrei fatto il calciatore… come attaccante me la cavavo niente male».