
Tori Amos è a Milano per l’unico concerto italiano del nuovo tour europeo
Milano, 17 settembre 2017 - Passa il tempo ma Myra Ellen “Tori” Amos, con quel sacro fuoco che riesce a mettere in tutto ciò che fa, rimane per i fans la figlia del predicatore metodista di Newton divenuta, grazie ad album come “Little earthquakes” ed “Under the pink”, un riferimento obbligato della canzone americana. Sono passati più di vent’anni dal folgorante debutto, ma tra i solchi del nuovissimo “Native invader” che presenta questa sera agli Arcimboldi, non sembrano poi troppi. Superata, infatti, la crisi dei cinquant’anni tra i dubbi e le inquietudini del predecessore “Unrepentant geraldins”, Tori mette mano ai conflitti che le pesano sul cuore per parlare dei problemi di salute di sua madre - rimasta paralizzata tempo fa - e della società americana dopo l’approdo alla Casa Bianca di Donald Trump. Il tutto legato con quel sottile filo di malinconia divenuto una sua cifra distintiva. La cantante americana è ancora la “cornflake girl” dai capelli ramati di “From the Choirgirl Hotel”, ma con parecchie consapevolezze in più.
«Innanzitutto la nascita di una figlia, Natasha, che mi ha cambiato la vita e poi l’amore costante e incondizionato della mia famiglia - spiega - Ho studiato musica classica al Conservatorio di Peabody, poi però ho mollato tutto perché non sopportavo l’impostazione conservatrice dell’istituzione. Mio padre disse che per ritagliarmi un ruolo nel mondo della musica avrei dovuto fare esperienza. Così un giorno a Washington, quando avevo 13 anni o giù di lì, mi disse di vestirmi da ragazza un po’ più grande della mia età per andare a bussare, in pantaloni e tacchi, alle porte dei locali di Georgetown. A darmi la prima opportunità fu Mr. Henry, un bar gay ed è facile immaginare quante e quali critiche gli piovvero addosso dai parrocchiani, ma papà continuò a difendere la sua scelta, dicendo di non conoscere in città posto più sicuro per una tredicenne». Sul finire dello scorso anno la Amos ha affidato una sua composizione, “Flicker”, alla colonna sonora del documentario Netflix sul problema degli stupri nelle scuole superiori “Audrie and Daisy”; scelta coerente con l’impegno sociale che la vede tra i fondatori di Rainn (Rape, Abuse, and Incest National Network), la più grande organizzazione anti-stupro americana.
«Anche se ho attraversato tempi difficili, perché per un’artista femminile ci sono molte pressioni riguardanti l’età e l’industria del disco non è come quella del cinema che crea ruoli ad hoc per le donne, non sono mai stata una depressa cronica - racconta - certo, un po’ d’analisi l’ho fatta, perché ne avevo bisogno, ma nel 2005 mi sono sentita a posto con me stessa e ho smesso». Quattro anni fa miss Amos, 14 milioni di dischi venduti e otto nomination al Grammy, ha firmato pure il musical “The light princess” confermando che la magia del teatro rimane la sua tazza di tè.
Questa sera Teatro Arcimboldi, via dell’Innovazione 20 - ore 21