
Tiziana Siciliano
Milano, 8 marzo 2019 - La "redditività stratosferica" degli affari illeciti coi rifiuti unita al «basso rischio imprenditoriale» sta producendo una miscela esplosiva. «Buona parte della criminalità che tradizionalmente trattava droga adesso tratta rifiuti». È l’allarme del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, a capo del pool milanese ambiente, salute e lavoro, intervistata dal direttore de Il Giorno, Sandro Neri, durante l’incontro “Lombardia, nuova terra dei fuochi?”. In regione si sono verificati 18 roghi nei depositi rifiuti nel 2018, guida la classifica del fenomeno. Il più grave degli incendi è quello scoppiato in via Chiasserini a Milano il 14 ottobre scorso, quando andarono in fumo 13mila metri cubi di spazzatura e si sprigionò una nube tossica. Per quel maxi-rogo milanese le inchieste della magistratura hanno portato lo scorso mese a 12 arresti.

La guardia ora dovrà restare alta?
«Saremmo dei pazzi se, appagati degli arresti, abbassassimo la guardia. È il momento, piuttosto, di spalancare gli occhi. Quello che a ottobre si è rivelato in maniera così eclatante è solo la punta di un iceberg. Da un po’ di anni avremmo dovuto accorgerci e preoccuparci. Nel triennio 2015-2018 in Italia abbiamo avuto 405 roghi accertati dal Noe (Nucleo operativo ecologico) dei Carabinieri e si tratta di un valore sottostimato perché alcuni non sono stati denunciati. Una buona parte è avvenuta in Lombardia. L’intensità e la frequenza temporale dei roghi, dapprima concentrati nel Pavese, poi nella zona nord di Milano, ha portato certamente a esaminare il fenomeno con maggior attenzione e risultati sorprendenti».
La Lombardia, essendo la regione più ricca, è più a rischio di speculazione criminale?
«La criminalità vuole guadagnare e segue i soldi. Va a infiltrarsi in una comfort zone dove il denaro circola e non è facile tracciarlo. Il business dello smaltimento dei rifiuti rappresenta un’attività imprenditoriale ad altissima redditività. Redditività che diventa stratosferica se condotta in maniera illegale. Quando il rifiuto, accatastato in capannoni, brucia, da indifferenziato diventa pericoloso. Ma l’operazione di ripristino della regolarità ambientale viene svolta dai Comuni. Il gioco è perverso perché si bypassano le regole, non si paga lo smaltimento e il ripristino è a carico di qualcun altro. Non stupisce che una buona parte della criminalità che tradizionalmente trattava droga adesso tratti i rifiuti. Il “rischio imprenditoriale” è bassissimo. Con la droga si beccano 20 anni, con il traffico dei rifiuti infinitamente di meno. È vero che sono stati inseriti nel codice penale i reati ambientali ma la legge 68/2015, all’articolo 452 bis, a proposito di inquinamento ambientale, ne parla in termini di compromissione o deterioramento “significativi e misurabili”. È l’espressione più vaga del mondo: tutto è misurabile».
La collettività può avere un ruolo?
«Sì. Certi fenomeni non sono nascosti ma sono sotto gli occhi di tutto. L’ultimo sequestro di una maxi discarica abusiva è avvenuto a Cassano d’Adda su una strada che porta a un centro commerciale. Si vedeva perfettamente. Come è possibile che si siano accumulate tonnellate di rifiuti nell’indifferenza generale? Serve più capacità di autotutela, individuazione e segnalazione».
E più termovalorizzatori?
«Non c’è altra strada. Dal 2017 le frontiere della Cina sono chiuse alla nostra immondizia. O troviamo altri Paesi compiacenti o ci muoviamo noi costruendo termovalorizzatori. In Lombardia sono 13 ma non bastano. Se sono fatti bene non inquinano e non danno fastidio. Ad Oslo ce n’è uno in pieno centro: nessuno si lamenta per odori o fumo».