ANDREA GIANNI
Cronaca

Strage di via Palestro 30 anni dopo, la squadra dei pompieri eroi: “Quella bomba ci è rimasta dentro”

La bomba che il 27 luglio 1993 sventrò il Pac uccise cinque persone: tre di loro erano vigili del fuoco. Ecco la storia dei sopravvissuti all’attentato

Il padiglione di arte contemporanea sventrato dalla bomba esplosa il 27 luglio 1993. Nel riquadro, una parte della squadra di vigili del fuco che intervenne

Milano – Antonio Abbamonte, uno dei vigili del fuoco sopravvissuti alla strage di via Palestro, è morto nel 2014 in Thailandia. Aveva scelto di cambiare vita, si era trasferito dall’altra parte del mondo e tornava raramente a Milano. Gli altri tre componenti di quella squadra rimasti feriti il 27 luglio 1993 per lo scoppio dell’autobomba davanti al Padiglione d’Arte Contemporanea, una delle stragi orchestrate da Cosa Nostra che insanguinarono l’Italia, sono invece in pensione. Paolo Mandelli, Antonino Maimone e Massimo Salsano (i primi due all’epoca avevano 27 anni, Salsano era 24enne), hanno continuato a lavorare nel corpo.

Il ricordo torna sempre ai colleghi caduti - Stefano Picerno, Sergio Pasotto e Carlo La Catena - vittime dell’esplosione che ha tolto la vita anche all’agente della polizia locale Alessandro Ferrari e al cittadino marocchino Driss Moussafir, che dormiva su una panchina.

"Sergio era un ragazzo stupendo – racconta Maimone –, amava viaggiare. La Catena si è fatto notare subito per il suo attaccamento al lavoro, ricordo il suo fisico imponente. Picerno era autorevole, infondeva sicurezza. La memoria del passato ci deve aiutare a migliorare il presente, nella speranza che certe cose non si ripetano".

Il messinese Maimone, ferito alla spalla e al ginocchio, negli anni successivi alla strage ha avuto due figli, ha lavorato nella "parte operativa" dei Vigili del fuoco in Calabria e in Sicilia fino alla pensione, sei mesi fa. "Non ho mai pensato di lasciare perché quella era la mia passione – spiega –. Abbiamo ricevuto la medaglia, abbiamo partecipato a cerimonie che mi hanno sempre dato l’impressione di una passerella per le istituzioni".

Anche il collega Massimo Salsano, nato a Catanzaro, ha lavorato per vent’anni a Vibo Valentia, chiudendo la carriera il 31 maggio 2019 nella sua città natale, con il ruolo di caposquadra esperto. Ha due figli. Adesso presta servizio come volontario alla Croce Rossa. "L’arresto di Matteo Messina Denaro (il boss di cosa nostra tra i mandanti delle stragi, ndr) è stato una liberazione – spiega – anche se sugli attentati ci sono ancora molte cose da chiarire. Vorrei ricordare anche il nostro collega Abbamonte, che aveva riportato serie ferite e non era più rientrato nella parte operativa, si occupava del servizio logistico. Poi è andato in pensione, ha deciso di trasferirsi in Thailandia. L’ho incontrato per l’ultima volta al ventennale della strage".

Di Abbamonte, che nel 1993 aveva 34 anni e viveva con la moglie a Buccinasco, colpito quella notte da detriti che hanno procurato fratture e lesioni agli arti, pochissime tracce online. La notizia della sua morte, forse dovuta a un malore, era rimasta per ora nell’ombra: aveva lasciato da tempo l’Italia, vivendo per un periodo anche nella Repubblica Dominicana. Testimoniò negli anni ’90, come gli altri sopravvissuti, nei processi sulle stragi di Cosa Nostra.

Paolo Mandelli, di Rho, che ha riportato una lesione permanente ai timpani, è rimasto in servizio a Milano ed è andato in pensione qualche tempo fa, così come gli altri componenti di quella squadra della caserma di via Benedetto Marcello, guidata all’epoca da Marco Bonomi.

I loro percorsi professionali si sono separati ma hanno continuato a tenersi in contatto, legati da ricordi "impossibili da cancellare". Un seme è stato gettato, perché una delle sorelle di Carlo La Catena, Raffaella, è diventata a sua volta vigile del fuoco. Lavora negli uffici della Direzione regionale Campania a Napoli, dove è entrata in organico 17 anni dopo la strage, seguendo un percorso stabilito dal ministero dell’Interno per i parenti delle vittime del terrorismo.

"Ha deciso di seguire le orme di Carlo – spiega il marito, Nicola Perna, presidente dell’associazione fondata dai genitori del pompiere ucciso – ma ha dovuto attendere 17 anni, mentre lo stesso percorso è stato precluso alle altre sorelle".