Le nuove Stelle Michelin? Social e antisprechi, ecco chi sono i migliori chef under 35

Testardi e talentuosi, la Lombardia guida il rinnovamento. Da Lomazzo a Lallio, da Milano a Crema: pioggia di riconoscimenti. Così nasce l’offerta gastronomica della "Next-gen" dell’alta cucina

Milano, 14 novembre 2022 - L’aveva ammesso quando era ancora primavera, nemmeno tanto avanzata, e aveva dichiarato a chiare lettere: "Se nella tua testa riesci a immaginare una cosa, significa che la puoi realizzare". Per la precisione, "la cosa" alludeva dichiaratamente alla preziosa étoile della Michelin e sembrava la sfrontata presunzione di uno chef di soli 25 anni che pretendeva la luna prima di organizzarsi per raggiungerla. In realtà, aveva ragione lui, come hanno ripetuto i 60 amici che la sera di martedì 8 novembre si sono dati appuntamento alla Trattoria Contemporanea di Lomazzo, nel Comasco, per seguire in streaming la presentazione della nuova e prestigiosa "guide rouge" e fare il tifo per Davide Marzullo (nel frattempo 26enne), convocato in Franciacorta per l’evento. La stella è arrivata e la storia di questo cuoco very young è diventata la metafora della nuova generazione di chef che sta irrompendo nell’alta cucina. In tutt’Italia. In Lombardia, ancora di più. Pura evidenza: 6 le new entry nella ristretta lista dei nuovi ristoranti étoilés segnalati dalla Michelin 2023 e in 4 casi si tratta di locali affidati a 25-33enni.

Davide racconta e si racconta: "Comunichiamo energia che arriva ai tavoli. Abbiamo professionalità, ma regaliamo anche sorriso, emozione, empatia. Anche gioco. C’è in giro troppa serietà. Noi siamo severi nel rispettare gli ingredienti e la stagionalità: è inconcepibile entrare in certi posti e vedersi proporre il cetriolo a novembre o la Parmigiana di melanzane tutto l’anno". Domanda di rito: cambierà qualcosa dopo la stella? Risposta secca: "Nulla. Continueremo a rispettare la tradizione ma con l’upgrade dell’innovazione". E se Marzullo ha piazzato Lomazzo nella geografia amata dai gourmet, l’ha fatto anche Marco Stagi, 31 anni, bergamasco di Alzano Lombardo, quasi 5 anni alla corte di Enrico Crippa ad Alba poi il compito di guidare il "Bolle Restaurant" in un’area industriale di Lallio, tra Bergamo e Dalmine, che non è il posto più romantico del mondo ma che intanto la Michelin considera meta da raggiungere.

Cucina d’istinto, grande abilità nell’equilibrare i contrasti e un piatto che è diventato la sua firma: un risotto mono-ingrediente, con il pomodoro presentato in 5 diverse sfaccettature per portare cremosità ma anche acidità e sapidità. Altro mondo, Milano, dove in tanti pronosticavano la stella per il ristorante "Anima". È arrivata, ennesimo capolavoro del più étoilé degli chef italiani, Enrico Bartolini (ormai ne vanta 12), maestro anche nel valorizzare gli executive chef a cui affida i suoi locali. Nel ristorante che si trova all’interno del design hotel di via Rosales, c’ha messo Michele Cobuzzi, 33enne di origine pugliese, esperienze toste all’Enoteca Pinchiorri e a Il Luogo di Aimo e Nadia, personalità carismatica e il dono di conciliare piatti ispirate alle sue radici (menù "Le mie certezze") con l’eleganza e la pulizia del Bartolini-pensiero. Bravissimo.

E fuori città tra i giovani neo-stellati c’è un altro pugliese: Michele Minchillo che di anni ne ha 29, la scelta di aprire il locale Vitium a Crema nel 2019 e in un amen il riconoscimento dalla Michelin, il prima e per ora unico nella provincia di Cremona. Tesse l’elogio del Salva cremasco. Stringe rapporti con un esercito di piccoli fornitori. E alla fine è proprio lui, Minchillo, lo chef-sintesi della nuova generazione che cerca credito nella Lombardia dei Cerea, degli Oldani e dei Bartolini: giusta dose di autostima e forte senso di appartenenza al team di cui fanno parte. Che poi, pochi hanno l’abitudine di definire "brigata", semmai "squadra", perché si tratta per lo più di coetanei indicati come "amici". Fanno anche altro. Parlano benissimo dei colleghi, quasi che nel nuovo mondo della cucina, la rivalità sia percepita come disvalore. E hanno un imprinting comune che li rende riconoscibili e in un certo senso, simili: pragmatici, cartesiani, open minded. E molto social. Lo ripetono: "Potersi informare, tramite il web o Instagram, su quello che fanno gli altri cuochi, aiuta a crescere e ad acquisire consapevolezza".

Sono anche sensibili a temi come la lotta allo spreco, sostenibilità, rispetto delle persone con cui si lavora. E hanno scarsa propensione al narcisismo. Ed è in fondo il carattere distintivo della rivoluzione, profonda, che i giovani chef stanno scatenando nell’alta ristorazione: non si sentono al centro del mondo. E forse proprio per questo, lo sono.