
L'inaugurazione dell'anno giudiziario a Milano
Milano, 11 febbraio 2020 - "Modificare i termini della prescrizione non è la soluzione". Cambiano sfumature e toni nelle relazioni dei presidenti della Corte di Appello di Milano e Brescia presentate all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020, ma il pensiero è condiviso: la crisi del sistema penale va risolta diversamente. E i numeri presenti nelle appendici statistiche delle corpose documentazioni sull’amministrazione della giustizia presentate dai due distretti (Milano e Brescia) che si dividono la Lombardia sembrano sostenere la tesi. Marina Anna Tavassi , presidente della Corte di Appello di Milano, scrive che "per il distretto di Milano la riforma avrà scarsa incidenza, stante il basso tasso di prescrizioni che maturano in appello". A Brescia, il presidente Claudio Castelli è solo più diretto: "Prendere la prescrizione come punto focale del problema è del tutto mistificante". Tradotto: tanto rumore per nulla, visto la bagarre parlamentare che sta accompagnando la riforma del ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, parzialmente corretta per trovare un’intesa con i compagni di governo (Pd e Leu), sullo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado.
Obiettivo ridurre la media nazionale del 24% che in appello, in caso di ricorso, vanifica le condanne a causa del tempo trascorso dall’ipotesi di reato di cui è accusato l’imputato. A Roma la percentuale di prescrizioni in secondo grado raggiunge il 48%. Ma nel distretto di Milano – un’area che comprende anche i tribunali di Monza, Lecco, Como, Sondrio, Varese, Busto Arsizio, Lodi e Pavia – le prescrizioni in appello non arrivano neppure al 3% (2,91%). E nel distretto di Brescia – competente per le circoscrizioni di Bergamo, Cremona e Mantova – si raggiunge solo il 9%. La motivazione si legge tra le righe di quanto scritto dalla presidente della Corte di Appello di Milano: "Nel nostro distretto si è realizzato un diverso modo di interpretare il giudice, meno incline a soddisfare il proprio compiacimento e più propenso a rendere un servizio, più attento ai tempi in cui interviene la propria decisione e quindi impegnato nel recupero dell’arretrato e nel controllo della durata, al fine di non superare i due anni del giusto processo riservati al secondo grado e i tre anni al primo grado".
Nei tribunali che dipendono da Milano, l’incidenza delle prescrizioni è più alta nella fase di indagini preliminari: 3,79% in media con punte dell’8,56% a Busto Arsizio, del 4,81% a Milano e del 3,69% a Varese. Salvo Monza (2,42%), il resto è sotto l%. In primo grado, invece, il dato più alto a livello distrettuale riguarda l’Ufficio Gip/Gup (Giudice per le indagini preliminari/Giudice dell’udienza preliminare): 7,4%. Nel 2,4% dei casi la prescrizione arriva in seguito a sentenze di un tribunale monocratico e nell’1,8% quando la decisione è collegiale (per i reati più gravi).
Nel distretto di Brescia, l’incidenza delle prescrizioni nella fase di indagini sale all’11,2%; il 16,18% interessa l’ufficio del Gip e solo il 4,76% arriva dopo il dibattimento. "La possibilità che questo fermo (lo stop alla prescrizione dopo il primo grado, ndr) scoraggi impugnazioni puramente dilatorie – sottolinea il presidente della Corte d’Appello di Brescia – esiste, ma è residuale e non risolutiva". Fuori dal (pur comprensibile) linguaggio giudiziario, le prescrizioni interessano soprattutto le fasi di indagini, fino al Gip. Bloccarle dopo le sentenze di primo grado per evitare che gli avvocati presentino ricorso alle condanne solo con l’obiettivo di prolungare i tempi del processo e far scadere i termini per rendere nulle le sentenze non è così decisivo, almeno in Lombardia.