
I fidanzati Teresa Costanza e Trifone Ragone
Milano, 2 marzo 2019 - Ha provato a difendersi fino all’ultimo istante. Davanti alla Corte che poco dopo l’avrebbe giudicato per il secondo grado di giudizio, l’ex militare Giosuè Ruotolo, 29 anni, di Somma Vesuviana (Napoli), ha ribadito la sua innocenza dicendo di «non aver ucciso nessuno». Per lui la Corte d’Assise d’Appello di Trieste ha deciso dopo sette ore di camera di consiglio e ha confermato la sentenza: ergastolo. Anche per i giudici di secondo grado Ruotolo è l’autore del duplice omicidio della lodigiana Teresa Costanza e del commilitone pugliese Trifone Ragone, uccisi a colpi di pistola nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone la sera del 17 marzo 2015. Ruotolo, in piedi, ha ascoltato la decisione con gli occhi bassi, quasi impassibile. Alle sue spalle il papà e il fratello. Presenti in aula anche i familiari delle vittime, i genitori e i fratelli di Trifone, e la mamma, il papà e un fratello della lodigiana Teresa, che non hanno mai perso una delle udienze del processo d’appello che si è tenuto nella città friulana. La Corte d’Assise d’Appello di Trieste, presieduta dal giudice Igor Maria Rifiorati, ha accolto tutte le richieste del procuratore generale. «La giustizia ha fatto un altro importante passo in avanti – dice commosso Rosario Costanza, il padre di Teresa, subito dopo la lettura della sentenza di secondo grado – non abbiamo mai creduto all’innocenza di Ruotolo. Ora aspettiamo la Cassazione».
Per la procura, Ruotolo aveva ucciso in un clima di odio e sete di vendetta maturato nei confronti di Teresa e Trifone. Qualche mese prima del duplice omicidio, Giosuè aveva creato il falso profilo Facebook “Anonimo Anonimo”, attraverso il quale fingeva di essere una donna, amante di Trifone, che insidiava con ogni tipo di ingiuria Teresa Costanza per indurla a lasciare Ragone. Durante un chiarimento tra i due ex commilitoni, Trifone aveva picchiato Ruotolo e lo aveva minacciato di denuncia. Intimidazione che per l’accusa aveva preoccupato molto l’imputato. Giosuè Ruotolo in questi due anni si è sempre dichiarato innocente e lo ha fatto anche ieri poco prima della chiusura dell’istruttoria. Un appello disperato alla corte per chiedere la sua assoluzione. «I dati scientifici mi scagionano – ha detto Ruotolo – chiedo che venga accertata la verità e fatta giustizia a Teresa e Trifone».
Per l’accusa gli elementi che avevano condotto al 29enne militare campano, commilitone di Ragone (ne sorresse anche la bara il giorno del funerale) sono stati più elementi indiziari ma nessuna prova: ad esempio i tempi di passaggio della sua auto, un’Audi A3 grigia, sotto le telecamere collocate nelle vicinanze del palasport di Pordenone. Ma anche la rivalità, divenuta odio viscerale, nei confronti delle due vittime. Gli avvocati Roberto Rigoni Stern e Giuseppe Esposito hanno sempre sostenuto che Ruotolo non si trovava nel parcheggio quando sono stati esplosi i colpi di pistola, ma che era andato via prima del delitto. Nel corso del processo hanno parlato di processo «del tutto indiziario» e dove manca «la prova regina, l’elemento in grado di inchiodare Ruotolo».