ENRICO CAMANZI
Cronaca

Morto Sante Notarnicola, il rapinatore-poeta della Banda Cavallero

I colpi del sodalizio criminale furono ritratti da Carlo Lizzani nel film "Banditi a Milano"

Sante Notarnicola dopo l'arresto nel '67

Sante Notarnicola dopo l'arresto nel '67

Milano - Addio a Sante Notarnicola, la "spalla" di Pietro Cavallero, il capo della banda che seminò il terrore negli anni '60 fra Milano e la provincia di Torino, mettendo a segno una serie di spietate rapine. Aveva 82 anni e aveva di recente vinto la battaglia con il Covid-19, ma le successive complicazioni gli sono state fatali. La sua figura, così come quella del capo e degli altri componenti del gruppo di fuoco, aveva ispirato il film realizzato nel 1968 da Carlo Lizzani "Banditi a Milano", una sorta di "instant movie" sulle imprese di Cavallero e soci. Nel film Notarnicola veniva interpretato da Don Backy, il cantante "rivale" di Adriano Celentano nel clan. A prestare il volto a Cavallero, invece, era il grandissimo Gian Maria Volontè. Il film è considerato un "punto di passaggio" fra l'epoca del noir classico tricolore e l'epopea del poliziottesco.

Dalla pistola alla penna

Notarnicola, dopo essere uscito dal carcere, viveva a Bologna. Vita avventurosa, la sua, prima e dopo la lunga esperienza dietro le sbarre. Fu arrestato nel '67 insieme a Cavallero in un casale nelle campagne dell'Alessandrino dove i due si erano rifugiati dopo una rocambolesca fuga in seguito a un colpo alla filiale del Banco di Napoli di largo Zandonai a Milano, ritirata durante la quale Notarnicola e Cavallero, insieme agli altri due compagni di scorribande, si lasciarono alle spalle tre morti innocenti. Per quei tre omicidi e le rapine arrivò la condanna all'ergastolo, accolta sulle note della canzone "Figli dell'officina" dai banditi, che avevano ammantato le loro azioni anche di motivazioni politiche, affermandole come atti di rivincita delle classi subalterne nei confronti dei "padroni" e della borghesia. Durante la lunga detenzione Notarnicola si politicizzò ancora di più, ma scoprì anche l'amore per la letteratura. Fu l'animatore di una serie di rivolte in carcere e in cella iniziò a scrivere poesie. Tornato libero nel 2000, dal 1995, quando ottenne la semilibertà, ha gestito il pub Mutenye, a Bologna, dedicandosi ai più giovani e a numerosi progetti sociali, solidali, culturali.

I terrori delle banche  

Nato a Castellaneta, in Puglia, Notarnicola, dopo aver trascorso alcuni anni in un istituto per l'Infanzia Abbandonata, si trasferì a Torino per raggiungere la madre, nel frattempo emigrata sotto la Mole. Un periodo immortalato nel verso "Venni dal Sud con la mia valigia di cartone", con il quale in molti lo stanno salutando sui social. Nella capitale industriale del Nord iniziò a frequentare gruppi di operai e di ex partigiani e con loro militò prima nella Fgci, poi nel Pci, fino a quando nel '59 non iniziò con alcuni compagni una serie di "espropri", organizzando rapine in banche e gioiellerie; ed è durante una di queste rapine che, nel '67, venne arrestato e poi successivamente condannato all'ergastolo. "Da quel momento (il '68 e le Br sono ancora lontani) i giudici si affanneranno ad attribuirgli etichette sempre diverse, da sobillatore a sovversivo, da nappista a brigatista, da irrecuperabile a irriducibile", si legge nella biografia pubblicata sul suo sito. E il legame con i terroristi rossi si fa concreto quando, nel 1978, le Brigate Rosse inseriscono il suo nome in testa alla lista da loro elaborata, in cui vengono indicati detenuti e detenute da liberare in cambio del rilascio di Aldo Moro, lo statista Dc rapito da Moretti e soci. In carcere Notarnicola ha scritto diversi libri, il primo fu "L'evasione impossibile" e scritti poetici. Poi la seconda (terza?) vita, da oste a Bologna, a spillar birre dietro il bancone e raccontare la sua vicenda umana, dura e affascinante, agli avventori.

Banditi al cinema

Un'immagine di "Banditi a Milano"
Un'immagine di "Banditi a Milano"

Il suo nome resta comunque legato all'epopea della Banda Cavallero, sodalizio criminale ritratto con precisione e urgenza da Carlo Lizzani nel suo "Banditi a Milano", affresco a metà fra il cinema verità e le opere di fiction livide e frenetiche che avrebbero avuto nei film della successiva trilogia del milieu di Ferdinando Di Leo - "Milano calibro 9", "La mala ordina", "Il boss" - il loro esempio più riuscito. Il lungometraggio di Lizzani racconta l'ascesa dei quattro della banda, fra desiderio di riscatto sociale e violenze sempre più efferate, alternando flash-back sulla raffica di assalti che li trasforma in prede imprendibili per le forze dell'ordine alla storia del colpo alla filiale del Banco di Napoli che si rivelerà l'ultima impresa della banda, la più ambiziosa e allo stesso tempo quella che li perderà. La formula del finto documentario si rivela particolarmente efficace, così come la scoppiettante interpretazione di Volontè-Cavallero che ha in Don Backy-Notarnicola una spalla fredda e spietata, che lo completa alla perfezione. "Banditi a Milano" è stato selezionato fra i "100 film italiani da salvare" all'interno delle "Giornate degli autori" della Mostra di Venezia. Fra gli interpreti anche Tomas Milian (il commissario), Ray Lovelock, Carla Gravina e Agostina Belli, al suo esordio cinematografico.