MARCO MANGIAROTTI
Cronaca

L'ultimo Mangiarotti si toglie la maschera

La scherma dei gesti bianchi e una famiglia di campioni: addio a Mario, aveva 98 anni

La famiglia Mangiarotti

Bergamo, 11 giugno 2019 - Ha battuto l Duca di Galles all’Augusteo di Roma, dopo aver fatto piangere leggendari campioni e cavallereschi amici. Per una volta, iniziamo la storia di una leggenda sportiva da una donna, Rosetta Mangiarotti, moglie del caposcuola Giuseppe e vincitrice delle Olimpiadi della Grazia nel 1931 a Firenze. Il nonno Beppe non voleva che lei partecipasse, perché c’era la favorita di un gerarca in pedana, Rosetta fece i bagagli, andò in stazione e prese il treno per Firenze. Dove ridicolizzò la rivale. Era il fiore spinoso di Giuseppe Mangiarotti, più di 80 medaglie vinte dai suoi allievi fra Olimpiadi e Mondiali, dal dopo guerra. Giuseppe è un figlio inquieto della Belle Epoque, il padre Carlo un viveur del Risorgimento lombardo, la madre Adelina Stehle una soprano.

Giuseppe giocava nei palchi con i grandi della lirica e Boito lo ritroverà nei salotti londinesi da grande. A Milano è un habitué dei caffè in Galleria e delle corse a San Siro. Una scommessa ad handicap, lo prepara il barone siciliano Lancia di Brolo ed è il coup de foudre per l’arma da terreno, la spada. Il cugino Colombetti, maestro dei Savoia a Torino, lo forma, i primi tornei gli fanno capire la superiorità della scuola francese a manico dritto, libero, che puoi stringere se domini il ferro, o rilasciare se la punta vuole passare con un semicerchio perfetto sotto la lama avversaria, pronta a colpire. Lucien Gaudin, sommo campione d’Oltralpe, è l’amico mancino da studiare.

I suoi allievi dovranno avere la padronanza del ferro dei campioni italiani e la souplesse danzante dei francesi, dalle Olimpiadi di Anversa, Amsterdam, Los Angeles, Berlino, dopo la guerra Londra, Helsinki, Melbourne, Roma. Brusati è una freccia, fleche, che non lascia scampo. Riccardi e Agostoni hanno fisico e tecnica, ma in Sala Mangiarotti, la Fossa dei Leoni di Via Passione (prima in Chiossetto), i figli ragazzini cominciano a impensierire i mostri sacri.

Dario, piccolo, estroso, funambolico (finta alla maschera e colpo al piede), un oro e due argenti alle Olimpiadi, nove oro, argento e bronzo ai Mondiali. Edoardo, il destro che si specchiò mancino, come il grande Gaudin, per sfruttare una meccanica perfetta, istinto prepotente, fame di vita e vittorie (6 oro, 5 argenti, due bronzo alle Olimpiadi, 13, 8 e 3 ai Mondiali). Lui spada e fioretto, quando papà Giuseppe capì che doveva difendersi da atleti che avevano dieci anni meno di lui. Il delitto perfetto se non avesse incontrato un grande campione francese, D’Oriola.

Perchè la scherma, cominciando dal fioretto, in Sala Mangiarotti si insegnava tutta. Parate, contro parate, attacchi e contrattacchi, arresti, anche una frecciata che ti inchioda al petto mentre cominci timido un’azione. Poi la spada con i passaggi di punta in tempo, i colpi agli avancorpi, alla maschera e al piede, alternati al dominio del ferro. In questo Edo è il più completo. Mario, il più piccolo, nazionale alle tre armi, forte spadista, «un esteta dalla meccanica formidabile, peccato si rifiuti di ripetere per due volte un’azione vincente» per il padre e i fratelli, fortissimo sciabolatore alla vigilia della guerra. Poi farà il medico, riuscendo a battere tutti gli altri campioni, tranne i fratelli solo nel 1951, nelle selezioni per i Mondiali di Stoccolma, dove la squadra vinse solo l’argento.

Mario, che è mancato ieri a 98 anni, ci racconta di un progetto difficile e normale del padre, un atleta completo alle tre armi, che raccoglie le molliche dell’eterna sfida Italia-Francia alle Universiadi, un oro a squadre e un bronzo individuale a Parigi, e nella Coppa Mollié a Genova. Imbattuto con i due fratelli e la squadra di spada della Mangiarotti in Europa, tre ori al Challange Internazionale Le Coultre a Losanna, una coppa dei campioni per club.

Ci ricorda che la Coppa Monal di Spada a Parigi e il Trofeo Giovannini a Bologna erano più duri di un mondiale, perché c’erano tutti. Mario era il nazionale delle sfide normali, mentre si laureava in medicina, dopo il classico e il conservatorio, si specializzava in cardiologia e fondava con Quarenghi la medicina dello sport. Dopo aver sposato Eugenia Gavazzeni, una delle prime bocconiane, campionessa italiana di fioretto. Perché certe leggende maschili devono iniziare e finire con una donna.