NINO FEMIANI
Cronaca

Matteo Messina Denaro, tutti i segreti nella tomba. Chi era il boss morto senza pentirsi

Il padrino arrestato il 16 gennaio scorso è deceduto in carcere, come Riina e Provenzano. Non una parola sulle stragi di mafia e sugli altri misteri di Cosa Nostra. Disse: “Con le persone che ho ammazzato potrei riempirci un cimitero”

L’Aquila, 25 settembre 2023 – É morto in carcere come un vero padrino. Come il suo mentore, Totò Riina, o come Binnu Provenzano. Senza un’ombra di pentimento, senza una parola sulle stragi, sulle ammazzatine di Cosa Nostra e finanche sulla scomparsa di Denise Pipitone, la bimba di 4 anni rapita a Mazara del Vallo, il territorio su cui lui esercitava un’egemonia criminale. “Non mi pento di nulla”, disse nel corso del suo primo interrogatorio. E così è stato.

Approfondisci:

Matteo Messina Denaro, le reazioni sulla morte del boss. Saviano: “È morto un assassino”

Matteo Messina Denaro, le reazioni sulla morte del boss. Saviano: “È morto un assassino”

Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano, è spirato a 61 anni nella cella dell’ospedale ‘San Salvatore’ dell'Aquila dove era ricoverato per un tumore al colon ormai in uno stadio avanzato. Con lui scompare l’ultimo boia della mafia, uno degli artefici delle stragi ideate da ‘u curtu’, il ras di Corleone che raccontava agli amici di aver “tenuto sulle ginocchia” il piccolo Matteo.

Erano i tempi in cui Riina faceva affari e intrecciava trame con il padre, Ciccio Messina Denaro, il padrino di Castelvetrano morto nel suo letto il 3 dicembre 1998 con due santini nelle tasche del doppiopetto scuro con cui fu seppellito: San Francesco e Madonna Libera di Partanna. Matteo, invece, non rientrava affatto nei canoni della liturgia mafiosa. A lui piacevano le donne e il lusso, i viaggi e il buon cibo. Per 30 anni è stato considerato il ‘numero uno’ tra i latitanti italiani, e uno dei maggiori ricercati al mondo.

Messina Denaro era malato di tumore al colon (Ansa)
Messina Denaro era malato di tumore al colon (Ansa)

L’ultima volta che qualcuno lo aveva visto libero era l’agosto del 1993: in vacanza a Forte dei Marmi con i suoi fidatissimi amici Filippo e Giuseppe Graviano. Poi più nulla, fino all’arresto nella clinica ‘Maddalena’ a Palermo. Le storie raccontate su di lui avevano delineato la figura di un mafioso spietato, pronto a uccidere gli innocenti, forse più furbo degli altri, di sicuro più prudente, ai limiti della paranoia. Tanto che amici e nemici lo chiamavano "Diabiolik”. Fino al momento dell’arresto, il 16 gennaio 2023, non era mai stato in carcere. Di lui, prima che i carabinieri gli facessero scattare le manette ai polsi, si pubblicava solo un po’ gossip verosimile o palesemente inventato. Si sapeva che soffriva di strabismo, adorava i dolci alla ricotta e passava ore a giocare ai videogiochi e a fare puzzle (fece contattare una ditta produttrice da un suo fedelissimo per recuperare un pezzo mancante). Si racconta anche che avesse rinunciato a malincuore alle iniziali cucite sui polsini delle camicie, potenziale indizio sulla sua identità, e che, sempre parola dei pentiti, si teneva in forma con la cyclette.

Quando è stato arrestato, i tre covi da lui abitati a Campobello di Mazara, nel pieno centro del paese, hanno riferito tante altre cose. Carte, appunti, gadget sul film ‘Il Padrino’, lettere ad amanti e spasimanti, numeri di telefono di fiancheggiatori e di una piccola rete di connivenze massoniche che nel trapanese ha giocato da sempre un ruolo. E poi i segni alla vanità di ‘Diabolik’: gioielli, profumi, decine di sneakers (di marca), camicie costose, occhiali ray-ban, un frigorifero ben rifornito di champagne Louis Roeder Cristal del 1999. E lo sfogo sulla famiglia e sulla figlia Lorenza Alagna, allontanatasi da lui da tempo dopo aver rotto, insieme alla madre Francesca, ogni rapporto con il mondo mafioso dei Messina Denaro. In questi covi si trovano conferme del carattere narciso e raffinato del boss-playboy, manifestato già in gioventù tanto da prendersi un cartellino giallo dai vecchi padrini a cui non andava a genio che lui scorrazzasse per il trapanese a bordo di una fiammante Porsche Carrera. Quando Riina lo incaricò di pedinare Falcone, Martelli e Maurizio Costanzo a Roma, a fine ’91, - racconta un mafioso oggi pentito, il mazarese Vincenzo Sinacori -, lui trovò il tempo di fare una buona scorta di camicie nel negozio più esclusivo di via Condotti e andare a mangiare nei locali più rinomati. Il boss Vincenzo Virga sbottava così: "Matteo, sticchio e cuasette di sita” (sesso e calze di seta).

Al di là dei comportamenti lontani dallo stereotipo del mafioso tutto Vangelo e pizzini, la ‘carriera’ criminale di Messina Denaro è stata abbastanza lineare: da pupillo di Riina a protagonista delle varie stagioni di Cosa Nostra. Un’ascesa fatta di assassini e stragi: un mafioso senza scrupoli, sadico e sanguinario, capace di macchiarsi di ogni genere di crimine, compreso sciogliere le sue vittime nell’acido e vantarsi: "Con le persone che ho ammazzato, potrei riempirci un cimitero”. Messina Denaro è morto portandosi dietro i suoi misteri. Trattative Stato-mafia, agendina rossa, borghesia canaglia, investimenti in mezzo mondo occultati dietro il paramento di prestanome, colletti bianchi e società off-shore. In questo è stato un mafioso innovatore capace di riciclare i proventi illegali in cantine di pregio, eolico, centri commerciali e alberghi, mentre gli altri si sporcavano ancora le mani con il cemento. Ma tutto resta chiuso nella cassaforte di zinco della sua bara.