Svolta nel caso Macchi. Cinema e fede, i 4 amici di Cl, "Era Stefano il leader del gruppo"

"Avevano paura di lui". Il responsabile spirituale: personalità carismatica di GABRIELE MORONI

Svolta nel caso Lidia Macchi, un arresto. Nella foto Stefano Binda (Newpress)

Svolta nel caso Lidia Macchi, un arresto. Nella foto Stefano Binda (Newpress)

Milano, 17 gennaio 2016 - «No, guardi, non è il caso». Una voce dal citofono di un grande condominio non distante dal centro di Varese. A un passo, sullo stesso marciapiede, la cooperativa dove lavora Patrizia Bianchi. Ha scelto il silenzio. La sua testimonianza segna la svolta nella vicenda Macchi, fino all’arresto di Stefano Binda, quel ragazzo di cui Patrizia ammirava «cuore, anima e intelligenza», innamorata per quanto conscia di vivere una storia senza sbocchi, perché Stefano era misogino al punto da pentirsi anche di un bacio. È lungo, sofferto, l’approccio di Patrizia con la polizia. Il primo contatto nell’estate del 2014, con l’esplicita raccomandazione di rimanere «fonte confidenziale».

Nel luglio dell’anno dopo Patrizia si presenta con quattro cartoline che le ha spedito Stefano. La grafia è quella dello scritto anonimo In morte di un’amica fatto arrivare alla famiglia Macchi. «Metus», paura, la definisce il gip Anna Giorgetti nell’ordinanza di custodia in carcere per Stefano Binda. «Il peculiare metus che Binda, il leader nato come definito da una delle sue guide spirituali dell’età giovanile, esercita sui propri amici a cominciare da Patrizia Bianchi». Leader nato, carisma personale. La definizione è di don Fabio Baroncini, al tempo responsabile spirituale dei giovani varesini di Comunione e Liberazione e Gioventù Studentesca. Lo stesso sacerdote che oggi, parroco al quartiere Niguarda a Milamo, dichiara: «Non sono convinto che l’intera verità sia emersa».

Giuseppe Sotgiu è l’amico del cuore di Stefano negli anni di Comunione e Liberazione. Piergiorgio Bertoldi, seminarista diocesano, il terzo grande amico. I «raggi» di Cl. I pomeriggi in casa di uno o dell’altro a parlare, discutere, appassionarsi. Le serate al cinema o ancora in casa a vedere una cassetta. «Gli aristogatti» è il film di Natale dell’86. «Teorema» di Pasolini, in video-cassetta, quello di Capodanno. Per il 5 gennaio, quando Lidia viene assassinata, Sotgiu dichiara di essere stato in giro con Piergiorgio e di avere concluso la serata con anche Stefano Binda al cinema con «Il colore viola» o forse un horror con un titolo in inglese. Quattro giorni dopo ricorda di avere trascorso l’intera serata in casa di Bertoldi. Binda è sparito dalla scena. Pare dimenticata la circostanza che Stefano in quei giorni dovrebbe trovarsi in vacanza a Pragelato. Si indaga sul brano anonimo giunto alla famiglia di Lidia. Più di uno, nella cerchia di amici, lo attribuisce a Stefano, l’unico in grado di redigere una simile prosa, tanto colta e densa di richiami religiosi. Solo Giuseppe Sotgiu non è d’accordo e ne attribuisce la paternità a un altro. Le strade si separano. Giuseppe e Piergiorgio hanno abbracciato la carriera ecclesiastica. Stefano rimane un’incompiuta, segnato dalla frequentazione assidua con l’eroina. Quando, nel 2008, Patrizia Bianchi partecipa a don Giuseppe il desiderio di rivedere Stefano, il prete la dissuade vigorosamente.

Ma il passato non è sepolto. Piergiorgio Bertoldi, arcivescovo e nunzio apostolico, dichiara di averlo incontrato al suo rientro da un Paese africano. Bindi s’intrattiene a conversare per ore con Marco Pippione, uno dei responsabili di Cl a Varese, ora come all’epoca. Con don Sotgiu c’è un contatto per interposta persona.  «Binda – annota il gip nell’ordinanza – ha cercato di riprendere contatto con quel passato per prepararsi ad un possibile sviluppo delle indagini».

di GABRIELE MORONI