REDAZIONE CRONACA

Il calvario giudiziario di un poliziotto In carcere, assolto e ora licenziato

Dopo 891 giorni senza libertà, chiede allo Stato danni per un milione di Michele Pusterla

Mauro Tavelli era ispettore della polizia

Chiuro, 3 aprile 2015 - Assolto dopo un calvario giudiziario durato oltre quattro anni, un maxi-periodo di detenzione in carcere di 399 giorni e un altro di 492 agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Chiuro, piccola capitale enologica della Valtellina immersa nei pregiati vigneti aggrappati alle alpi Retiche, per accuse infamanti per chiunque, ma ancora di più per chi, come lui indossa la divisa, l’ispettore capo della Polizia di Stato Mauro Tavelli ha chiesto di essere reintegrato in servizio, possibilmente alla questura di Sondrio, dove lavorava prima del trasferimento a quella di Milano, in seguito all’apertura di un’inchiesta per presunti rimborsi spese-truffa a suo carico (poi evaporata anch’essa).

La domanda di reintegro, tuttavia, è stata bocciata. Il Ministero lo ha destituito, in sostanza licenziato, adducendo gli stessi fatti per i quali, a livello penale, era stato assolto. Ora gli avvocati di Tavelli, Fabrizio Consoloni e la collega Nicoletta Manca del Foro di Lecco, chiedono il risarcimento del danno per ingiusta detenzione alla Corte d’Appello di Milano. L’istanza, presentata in questi giorni al Palazzo di giustizia del capoluogo lombardo, è ovviamente contro lo Stato e ammonta a quasi un milione di euro.

La via crucis del poliziotto valtellinese iniziò il 4 giugno 2010, quando il gip del Tribunale di Milano firmò un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per vari reati, fra i quali violenza sessuale aggravata commessa ai danni di un transessuale trattenuto presso il Cie di via Corelli, concussione sessuale, sfruttamento della prostituzione di alcuni viados, molestie e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Al termine dell’inchiesta, il 28 dicembre dello stesso anno, con rito abbreviato (quindi godendo di uno sconto di un terzo della pena), l’ispettore venne condannato a 7 anni e 2 mesi, mentre il 29 giugno dell’anno successivo, in Appello, si vide ridurre la pena a 5 anni e quattro mesi. Infine, il 22 maggio 2012 la Cassazione annullava la sentenza di 2° grado sostenendo che «la motivazione su cui si fonda è per buona parte apodittica, meramente apparente e congetturale». La Suprema Corte rinviava ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio che, l’11 gennaio 2013, si concludeva «assolvendo in via definitiva Tavelli da tutti i reati perché i fatti non sussistono». Ora un’altra doccia fredda.

«Tavelli - dichiarano i legali lecchesi Fabrizio Consoloni e Nicoletta Manca - si trova oggi a 50 anni senza stipendio e costretto a vivere con l’aiuto dei famigliari che hanno sempre creduto nella sua innocenza. Dopo 891 giorni di privazione della libertà e un altro lungo periodo di aspettativa, sperava di poter tornare al suo lavoro di poliziotto. Invece, oltre al danno anche la beffa di vedersi licenziato. Non ci sarà mai alcuna somma risarcitoria che sarà idonea a eliminare, alla radice, le gravi sofferenze patite dal nostro assistito».