
Una delle 'giazzere' nelle viscere della Grigna (foto Andrea Maconi)
Esino Lario (Lecco), 17 dicembre 2018 - Una lunga carovana di muli appesantiti dal carico di ghiaccio scende, passo dopo passo, sui sentieri del versante settentrionale della Grigna, quel grande anfiteatro naturale che si stende oltre la Cresta di Piancaformia, sulla montagna simbolo delle Prealpi, caratterizzato da grotte e immensi anfratti dove la neve accumulata dalle valanghe non si scioglie nemmeno in estate. Attraverso la pietraia e poi i boschi di abeti e di faggi gli animali vengono condotti verso i paesi del lago e dopo essersi rifocillati si avvieranno verso Milano con il loro carico di ghiaccio. Doveva essere più o meno questa la visione che si presentava a chi saliva sulla Grigna già dai primi anni del 1500 quando Lodovico Maria Sforza, il “principe” del Ducato di Milano, si adoperò molto per sviluppare la città e il contado. Capì che per conservare alcuni prodotti agricoli occorreva il freddo. Fu così che nei secoli successivi, dalle grotte del Moncodeno sulle Grigne, ogni settimana si avviava verso Milano una carovana di muli e di carri che trasportavano il ghiaccio prelevato nell'oscurità degli antri dentro le viscere delle montagne lecchesi.
Nel suo lungo e intenso peregrinare attraverso la Brianza e i monti lecchesi anche Leonardo Da Vinci si interessò al mondo delle ghiacciaie nei suoi studi sui “misteri” dell'acqua che attraversa la Grigna. La sua infinita curiosità lo portò a “guardare dentro la montagna” e a osservare attentamente il flusso d'acqua copioso che per tutto l'anno alimenta il “Fiumelatte”, per capire l'origine, ancora oggi in parte misteriosa (tanto che gli spelologi stanno provando anche in questi anni a esplorare i collegamenti fra i vari corsi d'acqua che attraversano la montagna), del torrente che dopo una breve corsa si getta direttamente nel lago a Varenna. Visitò e descrisse la celebre “Giazzéra di Moncodeno” interessandosi molto a questi famosi depositi perenni di ghiaccio. Importanti realtà che poi furono oggetto di studi approfonditi di Niccolò Stenone, uno tra i primi a occuparsi delle ricerche sul ghiaccio in grotta. Il rifornimento di ghiaccio prelevato dalle spelonche della Grigna e destinato a personaggi importanti e soprattutto ricchi della “bassa”, continuò fino all'inizio del secolo scorso. I Savoia presenti nella loro Villa Reale di Monza potevano conservare carni e verdure grazie al ghiaccio delle Grigne.
Oggi, insieme agli altri ghiacciai delle Alpi, rischiano di scomparire inesorabilmente anche le celebri “giazzére” del Grignone, custodite da sempre nei meandri della montagna dal clima che rimaneva praticamente inalterato fra l'inverno e l'estate. Negli ultimi anni non è più così e anche nelle grotte è arrivato il caldo. Se ne sono accorti negli ultimi anni gli speleologi che hanno trovato liberi passaggi finora inaccessibili all'interno delle grandi caverne. In alcuni casi è sparito completamente il ghiaccio che formava un tappo dentro gli antri e ha reso possibile la scoperta di nuovi anfratti, come è successo ad esempio per l'“Abisso delle spade” esplorato fino a una profondità di 700 metri grazie proprio allo scioglimento del ghiaccio che bloccava il passaggio. Un fenomeno sempre più frequente nelle ultime stagioni sul versante Nord della montagna.
Anche la “Ghiacciaia del Moncodeno” si è notevolmente ridotta rispetto all'Ottocento. I depositi di neve e ghiaccio delle grotte della Grigna inoltre sono preziosi archivi di dati sul clima e sulla composizione atmosferica degli ultimi secoli. Centinaia di alpinisti ed escursionisti che ogni anno affrontano la Grigna Settentrionale lungo il suo versante Nord ogni anno, quando la neve lascia spazio all'arida pietraia sono incuriositi dall'enorme numero di “buchi”, di ogni forma e dimensione, che ne costellano la superficie: trappole piene di neve e baratri senza fondo. Sicuramente in molti si chiedono dove portano queste cavità che trasformano i declivi in un grande “groviera”. Si tratta di porte che si aprono su un mondo sotterraneo in parte ancora da esplorare visto che fa parte di una delle zone carsiche più importanti d'Italia con alcune delle grotte più profonde d'Europa. «Complessivamente il Grignone ospita circa 900 cavità, per uno sviluppo complessivo che supera i 63 chilometri. Il sistema più lungo e profondo è il Complesso dell'Alto Releccio, dove recenti esplorazioni hanno permesso di collegare diverse grotte, creando un sistema con 17 ingressi, con uno sviluppo di 21,7 chilometri e un dislivello di 1190 metri: di questo complesso fanno parte grotte “famose”, come l'Abisso W le Donne, esplorato nei primi anni '80, e attualmente la terza grotta più profonda d'Italia, l'Abisso Kinder Brioschi o l'Abisso Orione», lo descrive Paola Tognini, una delle speleo che si avventura ogni anno dentro le viscere del Grignone. © RIPRODUZIONE RISERVATA