Invisibili, inodori ma tossici: Pfas, fiumi lombardi in cattive acque

Rapporto Arpa: record di presenza a Legnano ma anche nel bacino del Serio e dell’Adda

Indagini di laboratorio

Indagini di laboratorio

Milano - Non hanno colore, non hanno sapore e neppure odore. Non segnano l’acqua di scie schiumose o nere. Si chiamano Pfas e sono veleni (di origine industriale) invisibili. La Lombardia, dopo il Veneto, è la prima regione ad averli trovati nelle proprie acque: fiumi, laghi e bacini irrigui. Po, Olona, Lambro, Serio e Adda sono i più esposti. E il record, stando agli ultimi monitoraggi messi in campo dall’Arpa, spetta non solo all’area Bergamasca, ma soprattutto all’Olona, in particolare a Legnano, fra Varese e Milano. Per un lungo periodo queste molecole non sono neppure state considerate come un pericolo, né per l’ambiente, né per la salute. La sigla, in inglese Perflurinatedt alkylated substances, riguarda una vasta famiglia di composti di fluoro sintetizzati per la prima volta in Usa negli anni Quaranta e da allora, tanto sconosciuti quanto usati, servono per fare pentole antiaderenti o impermeabilizzare tessuti, per creare vernici e spray e strumenti antincendio. Idrorepellenti, anti-olio, resistenti alla temperatura, sono preziosi alleati dell’industria. Ma la loro indistruttibilità li fa accumulare nell’ambiente. E negli esseri viventi. Due sostanze, le prime e più antiche, acido perfluoroottanoico (Pfoa) e perfluorottanosulfonato (Pfos), questo usato nelle schiume antincendio, sono le più persistenti nell’ambiente e nei viventi: oltre 5 anni. Le più nuove si degradano in 10 giorni. I primi sono detti “a catena lunga“.

L’Arpa li ha cercati in tutta la Lombardia. E li ha trovati, praticamente ovunque. "Il valore massimo di concentrazione di Pfos – scrive l’agenzia nell’ultima relazione è stato riscontrato nel campionamento eseguito a giugno 2018 nella stazione di Legnano sul fiume Olona (29,4 nanogrammi al litro). Valori paragonabili, nel corso dell’anno, sulla roggia Olona (22) e, sempre sul fiume Olona, a Rho (17) e Pero (21)". A questo si aggiungono le misurazioni, sempre a Legnano, sopra i 100 nanogrammi per litro d’acqua di Pfoa. Tanto? Poco. Il riferimento in Italia sono le regole stabilite in Veneto, dove nel 2013, in un bacino enorme, una ricerca sperimentale ha scovato i Pfas a livelli altissimi, nella falda e nel sangue degli abitanti, per l’inquinamento di una fabbrica, la principale d’Europa del settore e ora fallita, a Trissino, nel Vicentino. Lì, il livello massimo accettato è di 90 nanogrammi per litro complessivi, fra Pfos e Pfoa, con questi ultimi che possono arrivare a 60. Al momento, non esiste un sistema per eliminarli, se non i filtri a carboni attivi. Impensabili nei fiumi e costosi sugli acquedotti. Al momento le falde potabili non sono in pericolo, ma i fiumi soffrono. Rischi per la salute dei lombardi, quindi, non ce ne sono: l’acqua è monitorata, ma la persistena delle sostanze e il loro accumulo negli esseri viventi può essere un problema. Ad elevate concentrazioni (in Veneto i livelli dell’Olona sono stati riscontrati nei pozzi d’acqua e addirittura nel sangue delle persone) i Pfas (ancora sotto esame) si ritiene intervengano sul sistema endocrino, sulla crescita e la fertilità e che siano cancerogeni, a causa dell’accumulo durato anni. Oggi le principali sostanze “a catena lunga“ sono monitorate. Ma altre, nuove, si affacciano. La molecola (a catena breve, più degradabile) prodotta da un’azienda alessandrina è già stata trovata nelle fognature di Milano. Come ci sia arrivata è difficile dirlo.