Il peso politico degli influencer è pari a zero. E questa non è proprio una buona notizia

Superseguiti sui social ma non in grado di determinare cambiamenti a livello politico

Fedez e politica

Fedez e politica

Milano - Qualunque persona abbia una minima competenza in ambito politico ha capito immediatamente che la registrazione del dominio “fedezelezioni2023” con tanto di comunicato stampa della parte promotrice, non poteva essere che una boutade. Nessun candidato al mondo intesterebbe un dominio con la parola “elezioni”. Al massimo, “Fedez per l’Italia”, “VotaFedez” ecc…

Tante persone sono cascate nel tranello, una strategia per far parlare dell’artista e del suo prossimo album, a dimostrazione che l’attenzione dei media tradizionali è ricercata anche da chi, sui suoi social, è arrivato ad avere milioni di followers.

L’elemento più interessante di questa vicenda è però un altro: la dimostrazione che, almeno ad oggi, gli influencer non riescono ad avere ancora un peso politico. E questa non è necessariamente una buona notizia.

Fedez, Chiara Ferragni e tantissimi influencer hanno promosso post, approfondimenti, campagne firme e dirette sul tema del DDL Zan, senza produrre alcun cambiamento politico significativo, visto che il provvedimento è stato bocciato.

La politica si gioca su campi di battaglia diversi dai social network: serve consenso, reputazione, ma soprattutto capacità di persuadere chi rappresenta, davvero, il potere in Italia: i rappresentanti politici, le associazioni di categoria.

Possiamo considerare che le interlocuzioni di personaggi pubblici possano essere identificate come “B2C” (nel caso dell’influencer che parla alla persona comune) e B2B (quando un personaggio interagisce con un soggetto qualificato, come un sindacato, un politico, un'associazione di categoria).

Nel secondo caso, non è sufficiente la visibilità, l’immagine, la foto: servono capacità diverse, di persuasione, orientamento dell’azione di policy-making, strategie politiche reali. Non è un caso che Fedez, Chiara Ferragni e tanti altri influencer abbiano “fallito” nella promozione del DDL Zan e che un’associazione di categoria (con di certo meno follower sui social) sia riuscita a far intervenire addirittura il Viminale in un’azione politica contro le manifestazioni noGreenPass.

Tra la grande visibilità e azione politica nulla, e l’azione politica poco visibile ma molto efficace, ci sono delle interessanti vie intermedie, come il caso della Tampon Tax (raccolta firme promossa da associazioni politiche e da influencer) e delle firme dei referendum su cannabis ed eutanasia.

In quei casi influencer ed associazioni politiche, civiche e sindacali hanno lavorato insieme in sinergia, senza che l’uno o l’altro potessero rivendicare paternità sulle iniziative. Il fatto che gli influencer, da soli, riescano a smuovere ancora poche caselle sullo scacchiere politico, però, non deve essere una consolazione: molte di queste persone (artisti, imprenditori, pensatori ecc..) intercettano molto prima della politica gli orientamenti del consenso pubblico, e possono essere in grado di interpretarlo meglio e in anticipo.

La politica ha i suoi tempi, la cultura ne ha di più brevi. Il tentativo di accelerazione non farebbe male al Paese, ma forse, farebbe male alla politica, che cerca, come sempre, di proteggere se stessa da turbamenti, e cambiamenti.